Tra emergenze ambientali, mutazioni climatiche e ritorni oscuri, la profezia di Francesco risuona nel deserto della politica globale.
Papa Leone ha ricordato oggi che sono passati dieci anni dalla pubblicazione della Laudato si’, l’enciclica di Papa Francesco che nel 2015 scosse il mondo con un richiamo potente alla responsabilità verso la “casa comune”, la Terra. Un testo profetico che oggi, in un’epoca segnata da eventi climatici estremi, siccità devastanti, incendi senza precedenti e un collasso della biodiversità sempre più accelerato, risuona con drammatica urgenza.
La Laudato si’ non fu soltanto un documento teologico o una riflessione spirituale. Fu un atto politico nel senso più alto del termine: un appello al mondo intero, credente e non, a riconsiderare il rapporto tra economia, ambiente e giustizia sociale. Francesco parlò di “ecologia integrale”, rifiutando le compartimentazioni e indicando che la crisi ambientale è anche crisi sociale, economica, culturale e spirituale. A dieci anni di distanza, le sue parole sono diventate un punto di riferimento imprescindibile per movimenti ecologisti, istituzioni accademiche e perfino agende politiche – anche se non senza contraddizioni.
“Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti”, scriveva Francesco nel 2015. Oggi, mentre interi territori sono colpiti da eventi meteorologici sempre più estremi – come l’alluvione in Sud America, la siccità nel Corno d’Africa o le ondate di calore che stanno riscrivendo le estati europee – quella frase assume il tono di un grido inascoltato. Secondo i dati più recenti del World Meteorological Organization, il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato, con una temperatura media globale di +1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. Siamo arrivati a quel limite che l’Accordo di Parigi del 2015 cercava disperatamente di evitare.
La desertificazione avanza, le falde acquifere si prosciugano, il livello dei mari continua a salire, minacciando milioni di persone che vivono nelle zone costiere. Secondo l’ONU, entro il 2050 potrebbero esserci oltre 1 miliardo di “migranti climatici”. In questo scenario, le parole della Laudato si’ – che parlava dei poveri come delle prime vittime della crisi ecologica – si rivelano oggi più che mai realistiche e fondamentali.
Eppure, nonostante la crescente evidenza scientifica e l’allarme lanciato anche dalla nuova esortazione Laudate Deum del 2023 – in cui Francesco ha ribadito l’urgenza di azioni concrete e coraggiose – la risposta della politica globale resta insufficiente. I vertici sul clima si susseguono, ma spesso si concludono con impegni vaghi, obiettivi rimandati, promesse non mantenute. I colossi dell’energia fossile continuano a dettare legge nei mercati e nelle agende dei governi.
In Italia, nonostante le dichiarazioni di intenti e le risorse del PNRR dedicate alla transizione ecologica, la riconversione energetica procede a rilento. Le fonti rinnovabili crescono, ma non abbastanza da ridurre significativamente la dipendenza da gas e petrolio. Le grandi opere continuano a impattare territori fragili e comunità locali, spesso senza un vero coinvolgimento democratico. La recente crisi idrica nel Nord Italia ha mostrato l’inadeguatezza delle infrastrutture e l’assenza di una visione a lungo termine.
Il ritorno di Trump e l’ombra della regressione ambientale
A preoccupare è anche il contesto geopolitico globale. Con il ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, il mondo rischia di assistere a un pericoloso passo indietro proprio sul fronte ambientale. Già durante il suo primo mandato, Trump si era distinto per una postura apertamente sprezzante nei confronti della scienza climatica: ha definito il cambiamento climatico “una bufala cinese”, ha ritirato gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi e ha smantellato numerose normative ambientali introdotte sotto l’amministrazione Obama.
Oggi, il suo secondo mandato – iniziato nel gennaio 2025 – sembra orientato a proseguire su quella linea negazionista e pro-fossile. Trump ha già annunciato l’intenzione di tagliare i fondi all’Agenzia per la Protezione Ambientale (EPA), di rilanciare la produzione di carbone e petrolio nazionale, e di cancellare ogni vincolo che ostacoli la “libertà economica delle imprese”. È un approccio che ignora sistematicamente i dati scientifici e mette a rischio anni di faticosi progressi internazionali.
In un’America che torna a rifiutare la leadership climatica, l’effetto domino potrebbe coinvolgere anche altri Paesi, alimentando un nuovo ciclo di negazionismo, disimpegno e sfruttamento selvaggio delle risorse naturali.
In un mondo che rischia di anestetizzarsi di fronte alla catastrofe, l’enciclica di Francesco resta tra i pochi documenti che parlano con chiarezza e radicalità. “Non ci sono due crisi separate, una ambientale e una sociale – ha scritto – bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale”. È un messaggio che chiama ciascuno, credente o no, alla responsabilità e alla conversione del proprio stile di vita, ma che chiama soprattutto le istituzioni a scelte coraggiose.
La Laudato si’ non offre solo una diagnosi, ma propone una via: una “nuova economia” orientata al bene comune e non al profitto immediato; una politica “alta” capace di guardare alle generazioni future; una spiritualità che riconosca il valore intrinseco della natura, al di là della sua utilità.
Dieci anni dopo, la sfida è ancora aperta. La comunità internazionale ha una finestra strettissima per invertire la rotta, e i prossimi anni saranno decisivi. La transizione ecologica non può essere lasciata alla buona volontà individuale o al mercato: ha bisogno di regole, di visione, di giustizia. La Laudato si’ resta, in questo senso, una bussola morale e culturale straordinaria.
Forse la domanda più vera oggi non è se l’enciclica sia ancora attuale. Ma se noi siamo pronti ad ascoltarla.