Dal Tg1 al Tg5, nessun notiziario si salva: i dati Auditel certificano un deserto. Il pubblico fugge dai palinsesti tradizionali e trova altrove la sua informazione, lasciando in apnea i colossi di Rai, Mediaset e La7.
Il nuovo anno televisivo comincia con una frana. Niente campanelle di festa, nessun annuncio trionfale: solo numeri che fanno tremare i palazzi di Viale Mazzini e Cologno Monzese. Secondo le elaborazioni dello Studio Frasi sui dati Auditel, tra il 14 e il 20 settembre gli ascolti complessivi delle tv generaliste sono scesi del 7,7% nel giorno medio e del 7% in prima serata. Risultato: un milione e trecentomila spettatori spariti nel nulla, evaporati nell’arco di dodici mesi.
È una cifra che fa male, soprattutto perché non riguarda un reality o una fiction malriuscita: riguarda i telegiornali, per decenni il pilastro granitico della programmazione. Quei notiziari che tenevano incollate intere famiglie al televisore all’ora di cena oggi perdono terreno come castelli di sabbia davanti all’onda lunga del digitale.
Il quadro è devastante: il Tg1, storicamente il più seguito, scivola a 3,8 milioni di spettatori, con il 23,4% di share ma un crollo del 7,6% rispetto al 2024. Il Tg5 non ride: 3,3 milioni di spettatori, 20% di share e un taglio netto del 10,5%. Giù anche il Tg3, che cala del 14,6%, e la Tgr regionale con un -13,7%.
Ma i veri disastri sono altrove: il Tg2, che un tempo aveva un’identità precisa, si riduce a 825 mila spettatori, con un -18,6% da record negativo. Studio Aperto precipita ancora più giù: 408 mila spettatori e un meno 20% che lo rende poco più di un notiziario per irriducibili. Il Tg4 arranca a mezzo milione e perde l’8%. Nemmeno Mentana, l’uomo della diretta per eccellenza, può sorridere: il suo Tg La7 perde il 5,5%, fermandosi a 1,2 milioni di spettatori.
Insomma, un’ecatombe. Otto telegiornali su otto hanno perso pubblico. Nessun superstite. Nessuna isola felice. “Sono 1,6 milioni le persone che nel 2024 seguivano almeno un Tg e che quest’anno non lo hanno più fatto”, spiega Francesco Siliato, analista di Studio Frasi. “Non perché manchino guerre o crisi, ma perché i Tg vengono percepiti come latitanti, superficiali, tutti uguali”.
Il problema non è la scarsità di notizie: ce ne sono fin troppe. Il problema è come vengono raccontate. Lo schema è sempre lo stesso, da trent’anni: titoli, servizi rapidi, collegamenti prevedibili. Un copione che oggi appare stanco, sbiadito, incapace di reggere il confronto con l’informazione in tempo reale dei social e delle piattaforme digitali.
Il pubblico, nel frattempo, è cambiato. Chi ha meno di quarant’anni non accende nemmeno più il televisore: vive di notifiche push, dirette su TikTok, aggiornamenti lampo su X. Ma ora a mancare sono anche i fedelissimi: gli over 60 che per decenni rappresentavano lo zoccolo duro dei notiziari. Perfino le nonne che fino a ieri giuravano fedeltà al Tg1 hanno smesso di guardarlo.
Per i dirigenti televisivi è un colpo quasi letale. La forza dei telegiornali non era solo negli ascolti, ma nel loro ruolo di agenda setting: decidevano di cosa parlare, cosa enfatizzare, cosa nascondere. Oggi quell’autorità è evaporata. E senza la credibilità, il pubblico non torna.
Il 2025 rischia quindi di essere ricordato come l’anno in cui i telegiornali italiani hanno perso la loro centralità. Un declino che non si può attribuire solo alla concorrenza delle piattaforme. La verità è che i Tg non hanno saputo reinventarsi: si sono rinchiusi nella liturgia di servizi preconfezionati, ignorando che il mondo corre a una velocità diversa.
Il rischio, ormai concreto, è che diventino riti vuoti, seguiti da pochi nostalgici. Un sottofondo per l’ora di cena, senza più la forza di orientare l’opinione pubblica. E allora il conto diventa amaro: un milione e trecentomila italiani in meno in dodici mesi. Un esodo che non si fermerà con un nuovo direttore o una sigla più accattivante. Servirebbe una rivoluzione editoriale, un bagno di realtà.
Per ora resta solo il rosso profondo dei dati Auditel, che raccontano la verità meglio di mille analisi: la televisione generalista ha perso la partita. Gli italiani hanno cambiato canale, e non sembrano avere alcuna intenzione di tornare indietro.