Alberto Trentini: 300 giorni di silenzio e una credibilità nazionale in gioco

Palazzo Chigi

Alberto Trentini, 46 anni, cooperante italiano per Humanity & Inclusion da oltre vent’anni, è detenuto in Venezuela dal 15 novembre 2024, ormai da quasi 300 giorni. Un uomo che ha dedicato la vita ad aiutare i più fragili, oggi prigioniero di un sistema che non gli riconosce diritti, tutele o un processo formale.

Arrestato durante una missione umanitaria sulla strada tra Caracas e Guasdualito, è stato portato nella famigerata prigione di El Rodeo I, gestita dalla controspionaggio militare (DGCIM). Non gli è stata formulata alcuna accusa formale, né concesso un confronto con avvocati, familiari o rappresentanti consolari. Le telefonate alla famiglia sono state solo due finora — la prima dopo 181 giorni, la seconda poco tempo dopo — registrate come “passi avanti” dalla Farnesina. La madre, Armanda Colusso, ha denunciato più volte l’assenza di iniziativa reale da parte del governo. Fiaccolate, raccole di firme (oltre 50.000 firme su Change.org) e interrogazioni parlamentari non hanno finora sortito alcun cambiamento sostanziale. Pochissime le reazioni istituzionali…

La situazione
A gennaio 2025 il governo ha formalmente protestato con il diplomatico venezuelano a Roma e convocato una riunione a Palazzo Chigi con i vertici della Farnesina e dell’intelligence. I media hanno annunciato una telefonata rassicurante di Trentini ai genitori dopo sei mesi. Ha potuto telefonare alla madre soltanto due volte in quasi un anno: pochi minuti per dire che mangia, che prende le medicine, che spera di tornare a casa. Poi di nuovo il buio. Il governo ha nominato l’inviato Luigi Vignali per seguire il caso a Caracas, ma la sua
missione si è conclusa senza risultati concreti. La CIDH (Commissione Interamericana dei Diritti Umani) ha emesso misure cautelari
a suo favore: la sua vita e integrità sono a «rischio irreparabile». Non si tratta più soltanto della tragedia di un uomo: è un’emergenza che mette a nudo la fragilità della nostra credibilità internazionale. Quando uno Stato non difende i suoi cittadini in condizioni di evidente ingiustizia, diventa complice dell’abuso. Un diplomatico venezuelano ha dichiarato al Fatto Quotidiano che Caracas avrebbe voluto
trattare, ma l’Italia non ha mai nemmeno alzato il telefono. «Un atteggiamento infantile, non degno dei rapporti tra Stati», lo ha definito con durezza.

Cosa deve fare l’Italia (subito)
Pressione diplomatica dura e bipartisan: convocazione immediata dell’ambasciatore venezuelano, mobilitazione al più alto livello politico, interventi pubblici forti. Attivazione dell’Unità di Crisi, garantita H24, con trasparenza sull’azione in corso. Esigere il rispetto delle misure cautelari CIDH, considerarlo prigioniero di coscienza e chiedere il suo rilascio immediato. Accelerare l’attività dell’inviato speciale con sostegno politico e mediatico, evitando oscurantismo e comunicati vaghi. Mobilitare l’opinione pubblica, mettendo in moto associazioni, media, cittadinanza; silenzio non è strategia ma complicità.

Ogni giorno che passa è un’impronta sulla coscienza di questa Repubblica. Alberto Trentini è un innocente, trattenuto senza colpa, isolato e stremato. Chiediamo all’Italia non lodi, ma legittima responsabilità. È tempo di liberarlo. È tempo di restituirgli dignità e libertà.
Basta silenzi. L’Italia torni a parlare, agire, rispondere.

Luca Falbo