Assorbire il dolore, metabolizzare lo choc, forse reagire. Per Beppe Grillo la condanna a otto anni inflitta in primo grado al figlio Ciro segna uno spartiacque definitivo. Chi gli è vicino lo descrive come un uomo provato, “cupo”, ferito nell’orgoglio e nella fede incrollabile che aveva nell’innocenza del ragazzo. Oltre a Ciro, il tribunale di Tempio Pausania ha condannato Edoardo Capitta e Vittorio Lauria a otto anni, mentre Francesco Corsiglia a sei anni e mezzo, tutti accusati di stupro di gruppo ai danni di una studentessa. La famiglia si è chiusa in un riserbo assoluto, mentre il padre, abituato a cavalcare i palchi e a scuotere piazze intere, oggi sceglie il silenzio.
Per Grillo questa sentenza è l’ennesimo colpo di un anno che definire terribile è poco. Sul fronte politico la sua creatura, il Movimento 5 Stelle, lo ha scaricato senza tanti complimenti: l’Assemblea costituente ha cancellato il ruolo del garante, simbolo del legame tra il fondatore e il partito. Lo strappo con Giuseppe Conte è stato netto, senza appelli, e nonostante i tentativi del comico di mantenere un ruolo, è finito escluso, addirittura sostituito da una nuova regola interna che ha spazzato via la sua funzione. A quel voto, che lo ha visto annientato a colpi di clic, Grillo ha risposto con la solita ironia, citando il film The Truman Show: “Casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte”. Una battuta amara che non nascondeva la portata della sconfitta.
Il rapporto con il Movimento resta comunque inquinato da questioni economiche e legali. I contratti di consulenza da 300mila euro l’anno che legavano il fondatore al partito non sono stati rinnovati e resta in sospeso la contesa per l’uso del simbolo. Una vicenda che rischia di trasformarsi in un contenzioso lungo e velenoso, alimentando ulteriormente il clima di separazione. Chi ha condiviso con Grillo le prime battaglie ricorda come sia stato lui a inventare un linguaggio, un approccio e una comunità che, nel bene e nel male, hanno ridisegnato la politica italiana. Vederlo oggi emarginato dal suo stesso progetto suona come una beffa.
Se il terreno politico gli si sgretola sotto i piedi, quello personale lo colpisce al cuore. La condanna di Ciro rappresenta la ferita più grave e insanabile. Per il padre non è solo il dolore privato, ma anche la percezione di un mondo che gli crolla addosso, proprio mentre cercava di mantenere un profilo pubblico. Grillo ha sempre difeso il figlio, ribadendo di credere nella sua innocenza, e il verdetto lo ha investito come un macigno. La sua sofferenza è quella di un genitore, ma anche di un personaggio pubblico costretto a reggere lo sguardo di un’opinione pubblica che non perdona.
Sul suo blog, in un post dal titolo “Chiamatemi Sinbad”, ha scritto parole che oggi sembrano profetiche. “Sinbad che naufraga, perde tutto, rischia di annegare ma si aggrappa a un legno e sopravvive”. E ancora: “Non è più tempo di aspettare che il pesce si giri di nuovo e ci offra un’altra illusione di terraferma. È tempo di buttarsi e nuotare insieme verso una riva che ancora non vediamo ma che sappiamo esiste”. Una riflessione amara e insieme una dichiarazione di resistenza. Chi lo conosce legge in quel richiamo il parallelo con un altro pseudonimo, quello del Conte di Montecristo: il simbolo della vendetta meditata, dell’uomo che, dopo il naufragio, si rialza e torna più forte di prima.
La domanda che circola tra amici e osservatori è inevitabile: Grillo medita vendetta politica? Rientrerà sulla scena per prendersi la rivincita? Nessuno può dirlo oggi, ma le premesse ci sono. Il suo carattere battagliero non è mai scomparso. Il comico genovese è stato spesso dato per finito, eppure ha sempre trovato la forza di reinventarsi, di tornare sulla scena, di ricominciare. Potrebbe succedere ancora una volta.
Per ora la certezza è una sola: l’uomo che per decenni ha portato nelle piazze milioni di italiani è ferito, ma non vinto. «Si rialzerà», assicura chi lo conosce da vicino. E quando accadrà, sarà di nuovo «il Grillo guerriero all’appello», pronto a rivendicare un posto nella storia che lui stesso ha contribuito a scrivere.