Il mondo del cinema piange Brigitte Bardot, morta a 91 anni. Ma, in realtà, quel mondo lei lo aveva salutato cinquantadue anni fa. Il suo addio non fu un lento allontanamento, ma una scelta netta, consapevole, quasi brutale: lasciare i set, la luce dei riflettori, l’immagine di icona assoluta del Novecento e dedicarsi completamente alla difesa degli animali. La seconda vita di Brigitte Bardot ha una data precisa: 6 giugno 1973. Quel giorno annunciò che “Colinot l’alzasottane” sarebbe stato il suo ultimo film. Aveva 38 anni e, da quel momento, non tornò più indietro.
Non era la prima volta che Bardot minacciava di lasciare il cinema. Ma quella volta la promessa non fu una frase di circostanza. Le interviste successive furono poche, essenziali, e quasi sempre legate ai diritti degli animali. Perché il punto è che qualcosa, dentro di lei, era cambiato davvero. C’è un episodio, sospeso fra storia e leggenda, che viene indicato come la scintilla definitiva. Accadde proprio sul set del film. «Durante il film Colinot sul set c’era una capretta. La proprietaria mi ha detto: “Si sbrighi a finire la sua scena, perché domenica è la comunione di mio nipote e dobbiamo farla allo spiedo”. Ho comprato la bestiola e l’ho portata con me, attaccata a una corda, nell’hotel a cinque stelle. Me la sono portata in camera, che scandalo. Quel giorno ho preso la decisione di smettere con il cinema e di aiutare gli animali. Era il giugno 1973, avevo 38 anni».
Forse è leggenda, forse no. Ma il resto della sua vita racconta che quell’immagine corrisponde perfettamente alla verità del suo percorso. Anche perché la sensibilità animalista non nacque allora. Già negli anni Sessanta Bardot aveva denunciato la violenza dei mattatoi e l’uso di strumenti di macellazione crudeli. Nel 1962, dopo aver visto le fotografie degli allevamenti e delle uccisioni, decise di diventare vegetariana e di esporsi pubblicamente. Nel 1967 fu ricevuta all’Eliseo da Charles de Gaulle e ottenne un risultato storico: il diritto allo “stordimento prima della macellazione”.
Nel 1977 una delle sue battaglie più celebri: la campagna contro la caccia ai cuccioli di foca in Groenlandia. Raggiunse i ghiacci del Saint-Laurent, fu fotografata sulla banchisa accanto ai piccoli destinate a essere massacrati «con tre colpi di arpione». Un’immagine rimasta nella coscienza collettiva. Dopo anni di pressioni, quella caccia ai neonati venne finalmente vietata. «Una delle poche vittorie che ho avuto», disse.
Nel 1986 Bardot trasformò il suo impegno in una struttura stabile fondando la “Fondation Brigitte Bardot” a Saint-Tropez, finanziata mettendo all’asta i suoi beni personali. Nel 1988 la sede si spostò a Parigi, poi arrivarono progetti in tutto il mondo: rifugi per elefanti in Sudafrica, koala in Australia, primati in Camerun, orsi ballerini in Bulgaria, programmi di reintroduzione di specie in Senegal e attività di protezione dei lupi sulle Alpi. Nel frattempo Bardot usava anche la televisione come strumento d’influenza sociale: tra il 1989 e il 1992 condusse la serie “SOS Animaux”, con l’obiettivo di scuotere coscienze e abitudini.
Il suo attivismo, a volte durissimo, l’ha portata anche in zone di forte polemica. Nel 2006, con una lettera pubblica a Nicolas Sarkozy, condannò la pratica dell’Eid al-Adha. Quelle parole le costarono un processo e una condanna per incitamento all’odio. Ma lei non arretrò. Continuò a esporsi, a provocare, a difendere cause e a costruire campagne simboliche. Nel 2009 la fondazione lanciò un’offensiva contro l’ippofagia e una lunga serie di azioni contro la pelliccia, con slogan durissimi: «Pelliccia, lo sguardo che uccide». Era la sua natura: radicale, intransigente, orgogliosamente scomoda.
Negli ultimi anni di vita Bardot ha raccontato anche la sua scelta di solitudine, spiegandola come privilegio, non come isolamento doloroso. A “Le Monde”, per i suoi 90 anni, aveva detto: «L’isolamento per me è una scelta, è un lusso. Il silenzio. Essere tranquilla, soltanto con poche persone. Avere la pace… La mia condizione, attualmente, mi piace moltissimo». Una quotidianità semplice, fatta di sigarette, natura, animali, gatti, cani, piccoli gesti e nessun bisogno di essere altrove.
La sua leggenda non è solo quella dell’attrice che ha fatto impazzire il mondo. È quella di una donna che, a un certo punto, ha deciso di togliersi dal centro della scena per mettere al centro qualcos’altro. Gli animali. La loro dignità. La loro vita. Da quel giorno del 1973, Brigitte Bardot non è più stata solo “B.B.”. È stata un esercito solitario e ostinato, che non ha mai smesso di combattere.







