Nel giorno in cui si apre ufficialmente il Giubileo dei Giovani, a Roma, i segnali che arrivano dai social parlano chiaro: la Chiesa ha deciso di non farsi trovare impreparata. E non parliamo solo di preparazione spirituale. A dominare il feed, in queste ore, sono reels ispirazionali, pettorali scolpiti, sorrisi magnetici e citazioni del Vangelo montate su colonne sonore virali. In mezzo a tutto questo, il crocifisso non manca mai. Così come il colletto bianco. Ben visibile, ma magari sopra una t-shirt attillata.
Se in passato il rischio era quello di apparire troppo distanti, oggi per molti sacerdoti l’obiettivo è opposto: esserci, ovunque. Su TikTok, su Instagram, persino su YouTube. Parlare la lingua delle nuove generazioni, non solo quella liturgica. E se serve un balletto per arrivare al cuore di un ventenne, che sia. Il Vangelo, del resto, non specifica il formato.
Il più celebre, per numeri e presenza, è don Cosimo Schena: sacerdote, poeta, influencer, musicista. I suoi profili social contano quasi mezzo milione di follower. Ma più ancora dei numeri colpisce la cura con cui imposta ogni contenuto: inquadrature studiate, montaggi professionali, frasi motivazionali che sembrano uscite da un manuale di coaching spirituale. Spesso in compagnia del suo cane, in contesti che ricordano più un trailer Netflix che un messaggio pastorale. Eppure funziona. La gente commenta, condivide, si emoziona. E in fondo, questo basta.
Ma don Cosimo non è solo. Anzi, è il capofila di una generazione. Come don Giuseppe Fusari, bresciano, fisico da bodybuilder e predicazione da parroco. Si è guadagnato il soprannome di “prete culturista” e lo porta con fierezza. Per lui, il corpo è il tempio dello Spirito Santo. E allora va scolpito, va allenato, va mostrato. Anche con qualche flessione post-omelia. O ancora don Michele Schiavone, che unisce yoga, catechesi e cura del corpo in un pacchetto comunicativo fatto per viaggiare veloce sugli smartphone dei fedeli.
Poi c’è Jefferson Merighetti, noto come “o prete gato”: brasiliano, trentenne, occhi profondi e abiti sartoriali. Vive a Roma, posa come un modello, ma predica come un consacrato. Il suo fascino è dichiaratamente parte del messaggio. Perché, nel suo modo di vedere, la bellezza può attirare, avvicinare, aprire uno spiraglio. E se anche fosse solo vanità, meglio una vanità che avvicina che un moralismo che allontana.
A completare il quadro ci sono personaggi come Frate Mago, che utilizza la magia per spiegare il Vangelo, e don Roberto Fiscer, capace di trasformare ogni passo evangelico in un meme o un trend. E ancora don Bruno, il sacerdote che ha portato i Ricchi e Poveri in parrocchia, trasformando “Mamma Maria” in una hit liturgica. Ha ballato a The Voice Senior, fatto impazzire le nonne in festa patronale e si è guadagnato lo status di mascotte trash (e benedetta) delle celebrazioni popolari.
A fianco a questa pattuglia da like, però, restano sacerdoti più defilati ma non meno determinati. Come don Mattia Ferrari, cappellano della nave Mare Jonio. Nei suoi profili social non ci sono effetti speciali, ma racconti crudi di migrazioni, naufragi, accoglienza. È la fede dei piedi scalzi, quella che non fa views ma salva vite. Ed è importante che esista anche questa voce, in mezzo alla giungla patinata dell’algoritmo.
Il Giubileo degli influencer cattolici, previsto in Vaticano tra il 28 e il 29 luglio, è la consacrazione simbolica di questa tendenza. Non un carnevale, ma neppure un sinodo. Una chiamata all’evangelizzazione digitale, dove ogni follower diventa una pecorella da riportare all’ovile, e ogni story una parabola 2.0. I puristi storcono il naso, evocano la deriva spettacolare, ma intanto il Vaticano osserva. E lascia fare.
Perché, anche se le regole del gioco sono cambiate, la partita resta la stessa. La Chiesa ha capito che o si entra nei social, o si resta fuori dalle vite dei giovani. E allora tanto vale provarci con i mezzi che si hanno. O che si imparano a usare. Gli antichi pulpiti hanno lasciato il posto agli smartphone, i cori parrocchiali alle colonne sonore da TikTok. Ma l’obiettivo è lo stesso: farsi ascoltare, lasciare una traccia, accendere qualcosa.
Sotto la talare, oggi, batte un cuore cardio allenato. E se serve un addominale per attirare uno sguardo distratto, così sia. Del resto, è sempre stato questo il mestiere dei missionari: andare dove nessuno vuole andare, usare le parole che gli altri capiscono, trovare una forma senza tradire la sostanza. E se oggi quel territorio è fatto di like, filtri e swipe, il nuovo Vangelo si scrolla, non si sfoglia.