Il deserto non avanza più: lo stanno fermando. E lo stanno trasformando. Nelle capitali del Golfo, dove per decenni l’unica energia era il petrolio, oggi si punta su solare, idrogeno verde e città a zero emissioni. Progetti visionari che vanno ben oltre il marketing. E che interrogano l’Europa sulla sua lentezza nella transizione ecologica.
L’ambizione dei nuovi leader arabi: “Saremo indipendenti dal petrolio”
«Il nostro obiettivo non è semplicemente ridurre le emissioni. Vogliamo che il Regno dell’Arabia Saudita sia leader mondiale dell’energia pulita», ha dichiarato a inizio anno il ministro dell’Energia saudita, il principe Abdulaziz bin Salman.
A guidare la svolta sono soprattutto i giovani leader del Golfo: il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (MbS), il presidente emiratino Mohamed bin Zayed, l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani. Tutti convinti che non si possa costruire un futuro lasciando il destino dei propri Paesi legato al greggio.
The Line e Masdar City: due modelli di futuro urbano
Nel nord-ovest dell’Arabia Saudita, lungo il Mar Rosso, sta nascendo The Line: una città lineare lunga 170 km, larga appena 200 metri, alta 500. Niente auto, niente strade, zero emissioni di carbonio. Si muoverà tutto tramite trasporto elettrico e treni ad alta velocità. A regime ospiterà 9 milioni di persone.
Intanto ad Abu Dhabi è già attiva Masdar City, il primo esperimento concreto di smart city a emissioni quasi zero. Progettata per sfruttare al massimo l’energia solare, ha un sistema di ventilazione naturale che abbatte il bisogno di aria condizionata.
I numeri della transizione: il Golfo corre
- 20 miliardi di dollari: gli investimenti dell’Arabia Saudita nel settore delle rinnovabili nel solo 2024 (fonte: IEA).
- 33 GW: la capacità energetica da fonti pulite installata negli Emirati Arabi entro fine 2025 (fonte: Masdar).
- 25%: quota del fabbisogno energetico che Dubai coprirà con energia solare già entro il 2030.
«I paesi del Golfo hanno capito una cosa fondamentale: chi controlla le energie del futuro, controllerà anche l’economia globale», spiega l’economista energetico Giacomo Luciani, professore a Parigi e Ginevra.
La COP28 e l’egemonia verde dei petro-Stati
L’assegnazione della COP28 a Dubai è stata simbolica. Per la prima volta, un Paese storicamente legato al petrolio ha guidato un vertice sul clima. È solo greenwashing? Non del tutto.
«La strategia è pragmatica. Sanno che il mondo cambierà e vogliono restare centrali anche nella nuova economia energetica. Per questo investono su rinnovabili, idrogeno, carbon capture», osserva Karim Elgendy, analista del think tank britannico Chatham House.
I limiti: tra vetrine e realtà
Non tutto è oro quel che riluce. I progetti sono spesso ipercentralizzati, costosi, poco inclusivi. I diritti dei lavoratori migranti restano un problema aperto. E il petrolio, nonostante tutto, continua a scorrere.
Ma i segnali sono concreti. L’Arabia Saudita, ad esempio, prevede di esportare idrogeno verde verso l’Europa già dal 2027. E gli Emirati vogliono diventare leader nella tecnologia della desalinizzazione a basso impatto ambientale.
E l’Europa?
Di fronte a questa corsa araba alla modernità sostenibile, l’Europa appare lenta, impantanata tra vincoli burocratici e divisioni politiche. In Italia, mentre si discute ancora di trivellazioni, nel deserto nascono città che producono più energia di quanta consumino.
La domanda è: sapremo cogliere questa sfida geopolitica e ambientale? O saremo spettatori del futuro che altri stanno già costruendo?