Ottant’anni appena compiuti, Don Luigi Ciotti non ha dubbi su cosa desiderare per il suo compleanno. “La liberazione di Alberto Trentini. Immediata. La chiedo al presidente venezuelano, Nicolas Maduro, che si professa un buon cattolico. Gli chiedo di farlo in nome della coerenza con la parola di Dio. Il Vangelo chiede di stare dalla parte delle parole che si professano: ecco, gli chiedo di fare tornare subito a casa Alberto dai suoi genitori, dai suoi amici, da tutti noi”.
Un appello che arriva al termine di trecento giorni di detenzione in un carcere sudamericano. “Dieci mesi sono tanti. Troppi. E dobbiamo chiederci anche noi se abbiamo fatto abbastanza in questo tempo. Se abbiamo parlato abbastanza, se abbiamo fatto sentire le nostre voci. La mobilitazione di Repubblica è stata una cosa importantissima, di cui tutti non possiamo che essere grati. Ma serve anche la nostra: dobbiamo fare sentire la voce di tutta l’Italia, al Venezuela che ha arrestato ingiustamente Alberto e all’Italia, all’Europa, che devono fare tutto il possibile per farlo tornare a casa subito. La nostra deve essere un’attesa tenace, operosa e rumorosa. Perché il sequestro di Alberto Trentini, perché di un sequestro si tratta, non è un problema della sua famiglia. Dei suoi amici. Ma la messa in discussione della democrazia, la nostra”.
Il sacerdote alza il tiro, chiamando in causa non solo le istituzioni ma anche i fedeli. “Non tutti hanno fatto la propria parte. Lo dico ai cattolici: Dio ci dice che dobbiamo darci una mossa. Tacere diventa una colpa. Parlare è un obbligo morale e civile, un imperativo etico. Alberto Trentini è un ostaggio senza colpa davanti al quale non si può restare fermi”.
Per Don Ciotti la mobilitazione pubblica resta la chiave. “Le mobilitazioni pubbliche sono importanti e servono a non lasciare soli i familiari di Alberto, innanzitutto a trasmettere loro vicinanza e affetto. E poi a tenere accesa l’attenzione sulla sua storia, a fare pressione sulle istituzioni perché se ne occupino con maggiore energia, con maggiore coraggio. Dieci mesi di detenzione sono lunghissimi, senza neppure il conforto di una visita istituzionale o il supporto di un avvocato”.
Gli appelli e le iniziative organizzate negli ultimi mesi non sono state sufficienti, insiste Don Ciotti. “Non bastano, ne servono molti di più. E non bastano da soli. Alberto è un cittadino italiano e come in tanti altri casi l’Italia intera deve sentirsi responsabile di riportarlo a casa. L’opinione pubblica può essere un pungolo verso il governo e i funzionari che sono gli unici a poter trattare direttamente la liberazione con le autorità venezuelane”.
Sul motivo della detenzione, il fondatore di Libera non ha dubbi. “È evidente che l’arresto di Alberto, verso il quale non è stata formalizzata nessuna accusa, è pretestuoso. È un ostaggio senza colpa di un gioco di interessi più grandi di lui. È certo che Alberto sia considerato solo una pedina di scambio”. E al governo italiano chiede un impegno più visibile. “Sappiamo che c’è un impegno forte sulla vicenda da parte del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, e gliene siamo grati. Ma non basta. Tutti dobbiamo fare di più. La nostra parte deve essere quella di cittadini, non a intermittenza. È una responsabilità. Liberate Alberto”.
Trentini, 33 anni, è originario di Rovereto, in Trentino. Tecnico informatico, viaggiatore appassionato di America Latina, era arrivato a Caracas per seguire un progetto di cooperazione legato all’educazione digitale. Da allora, la sua vita si è trasformata in un incubo: un fermo improvviso, una detenzione mai chiarita, il silenzio delle autorità locali.
Il suo volto è diventato il simbolo di una battaglia civile. Una foto sorridente, spesso accompagnata dallo slogan Free Alberto, circola ormai da mesi sui social e nei cortei. Gli amici lo descrivono come una persona “generosa, incapace di girarsi dall’altra parte”, sempre pronto a spendersi per gli altri. “Non è uno sprovveduto, né un ingenuo – dice chi lo conosce bene – ma un ragazzo che credeva davvero nella possibilità di costruire ponti tra culture”.
Quella di Trentini non è solo una vicenda giudiziaria. È diventata terreno di scontro tra Roma e Caracas, simbolo delle difficoltà dell’Unione Europea nel dialogo con il regime di Maduro, ma anche specchio di quanto fragile possa essere la tutela dei diritti individuali quando si varcano i confini.
Per Don Ciotti la questione va ben oltre: “Alberto è un ostaggio senza colpa. Davanti a questa ingiustizia, restare in silenzio significa essere complici. Tacere è una colpa”. Un monito che trasforma il compleanno del sacerdote in un appello collettivo. Un invito a non lasciare che l’oblio cali su un giovane italiano detenuto senza accuse, lontano da casa, in un carcere di Caracas.
“Liberate Alberto”, ripete. E la sua voce, stavolta, vuole essere quella di un Paese intero.