Settimana scorsa le università italiane hanno eletto il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari (CNSU). Nonostante la rilevanza istituzionale di questo organismo, l’affluenza media si è attestata al di sotto del 10%, segnando una crisi partecipativa che richiede un’analisi approfondita.
Numeri che parlano da soli — Crisi di fiducia e efficacia politica
Nell’ateneo più grande d’Europa, con circa 120.000 iscritti, appena l’8% ha preso parte alle elezioni. Università di medie dimensioni hanno registrato percentuali tra il 5% e il 12%, con punte eccezionali del 15%, raramente superate. Per uno studente di Scienze Politiche, tali valori rappresentano un campanello d’allarme: la political efficacy, ossia la percezione di poter influenzare le decisioni pubbliche, appare drasticamente ridotta. Se il sistema non trasmette l’idea di un impatto tangibile, il voto si trasforma in mera formalità.
Il diritto di voto non ha solo una funzione normativa, ma è un rito condiviso che favorisce la coesione della comunità accademica. La riduzione a un adempimento burocratico ne svuota la dimensione simbolica: un atto che un tempo rafforzava la legittimazione collettiva si trasforma in un semplice “check” da spuntare. Questo lento svuotamento del voto mina le basi stesse della rappresentanza, causando uno scollamento tra gli studenti stessi e tra gli studenti e le istituzioni.
Comunicazione inefficace — Dall’informazione unidirezionale al coinvolgimento attivo
La promozione elettorale si è limitata a newsletter istituzionali e avvisi in bacheca: azioni poco efficaci, secondo i modelli di civic engagement, che auspicano strategie multilivello. Occorrono laboratori di democrazia deliberativa, forum interdipartimentali, sessioni di Q&A in diretta streaming e hackathon tematici. L’interattività diventa il fulcro per costruire un rapporto di fiducia e responsabilità reciproca tra studenti e organi decisionali.
Funzioni reali del CNSU — Dalla teoria alla praxis del policy-making
Il CNSU esercita poteri concreti: contribuisce alla definizione dei criteri per le borse di studio, alla gestione delle residenze universitarie, alla programmazione Erasmus e ai servizi di orientamento. In un’ottica di analisi delle politiche pubbliche (public policy), questi strumenti costituiscono leve fondamentali per migliorare l’equità e l’efficienza dei servizi formativi. La mancata adesione allo strumento elettorale implica rinunciare alla capacità di influire direttamente su tali decisioni.
Radici dell’apatia — Meccanismi strutturali e culturali
La letteratura identifica tre cause principali:
- Competitività accademica: l’università orientata al risultato individuale spinge gli studenti a focalizzarsi sui voti piuttosto che sul bene collettivo.
- Mercificazione dell’istruzione: la percezione dello studente come consumatore riduce l’identità civica, inducendo alla passività.
- Frammentazione mediatica: social media e distrazioni digitali limitano la capacità di concentrazione e approfondimento, compromettono la costruzione di comunità stabili.
Questi fattori si combinano per generare un senso di impotenza e di disconnessione dalle istituzioni interne.
Verso una rieducazione civica universitaria — Modelli di intervento
Per rigenerare la partecipazione, le università potrebbero adottare approcci innovativi:
- Bilanci deliberativi studenteschi: un processo partecipato che assegna budget reali a progetti votati dalla comunità.
- Hackathon civici strutturati: eventi in cui squadre interdisciplinari elaborano proposte per la gestione sostenibile dei campus.
- Laboratori di policy co-creativi: workshop permanenti in cui studenti e docenti applicano design thinking alla risoluzione di problemi concreti.
- Network gamified di cittadinanza attiva: piattaforme digitali che incentivano la partecipazione continua attraverso meccanismi di ricompensa e visibilità delle azioni. Questi modelli non solo aumenterebbero l’interesse alle elezioni, ma favorirebbero una cultura del coinvolgimento permanente.
L’università come incubatore democratico — Dalla delega alla responsabilità condivisa
L’obiettivo è spostare il paradigma: da un voto episodico a una governance studentesca integrata nei processi decisionali. L’istituzione universitaria dovrebbe considerare il CNSU non come un organismo facoltativo, ma come un partner strategico nella costruzione delle politiche accademiche. Ciò richiede un cambio culturale: valorizzare la dimensione progettuale del rappresentante studentesco e integrare feedback ciclici nelle pratiche amministrative.
Riflessione finale — La sfida del futuro accademico
Se il laboratorio della ricerca e dell’insegnamento resta refrattario alla partecipazione, l’università rischia di tradire la sua missione fondativa: formare cittadini critici, consapevoli e protagonisti del cambiamento sociale. Solo un rinnovato impegno civico potrà restituire valore a un’istituzione che, per definizione, dovrebbe essere all’avanguardia anche nella pratica democratica.
La democrazia universitaria non è un optional: è la base su cui si costruisce il futuro della società.
di Luca Falbo