Europa oltre i +2°C: cosa significa vivere nel continente che si scalda più del mondo

L’Europa ha superato la soglia dei +2°C di riscaldamento medio rispetto all’era preindustriale. È un dato che pesa come un verdetto, e arriva dal nuovo rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente: State of the Climate in Europe 2025. Il continente che per decenni ha guidato la diplomazia climatica internazionale è oggi il più caldo del pianeta.

Come ci siamo arrivati?

Il cuore del problema è che l’Europa non è più una media del mondo. È un’eccezione.
Mentre la temperatura globale cresce di circa +1,2°C, qui l’aumento ha già toccato +2,3°C. In alcune aree — Scandinavia, Europa orientale, bacino del Mediterraneo — la curva sale ancora più in alto. È un continente fuori scala. E questo squilibrio non è casuale: è il prodotto di una combinazione di fattori geografici e strutturali che amplificano il calore invece di disperderlo. Meno neve, meno ghiaccio, più assorbimento termico: un effetto domino che la scienza chiama regional over-heating effect.

La fragilità del continente

A pensarci bene, l’Europa si sta scoprendo fragile proprio dove credeva di essere forte. L’adattamento tecnologico, l’efficienza energetica, la transizione verde: parole che fino a ieri suonavano come soluzioni, oggi sembrano palliativi di fronte a un dato che le smentisce nella sostanza. Il Sud Europa — Italia, Spagna, Grecia — è già in trincea. Le temperature estive crescono di tre gradi in media, il numero dei giorni di caldo estremo è triplicato, le stagioni degli incendi si allungano di mesi. Il rapporto parla esplicitamente di “irreversibilità climatica locale”. In certe zone, il passato meteorologico è già storia.

Il Nord che non si salva

Ma anche il Nord, tradizionalmente rifugio climatico, non è immune. La Scandinavia si scalda al doppio della velocità del resto d’Europa. Il Mar Baltico è diventato uno dei mari che si riscaldano più rapidamente al mondo. Ciò che era stabile, prevedibile, ciclico — le stagioni, la neve, l’acqua — si sta deformando davanti ai nostri occhi.E allora, la domanda successiva è inevitabile: che valore politico ha questo superamento? L’Unione Europea aveva promesso di mantenere l’aumento globale “ben al di sotto dei 2°C”. Oggi, mentre il resto del mondo guarda a Bruxelles come al centro della transizione verde, l’Europa è già oltre quella soglia. Non è solo una contraddizione: è una frattura simbolica. L’EEA nel suo rapporto è chiarissima: “L’adattamento non è più sufficiente. È necessaria una trasformazione strutturale”. Parole che suonano come una resa parziale: il tempo del contenimento ha sostituito quello della prevenzione.

Un continente diseguale

Il continente si divide. Al Nord, dove le risorse e le infrastrutture permettono di reagire, gli impatti restano gestibili. Al Sud, invece, caldo e siccità si intrecciano con fragilità economiche e sociali. La crisi climatica amplifica le disuguaglianze: non solo tra paesi, ma tra territori, città, comunità. È la nuova linea di frattura di un’Europa che si pensava unita, e che oggi scopre quanto la geografia possa diventare destino. Alla fine, resta una domanda di fondo: come si racconta un continente che non riesce più a rientrare nei propri limiti termici? Forse cominciando a considerare il clima non più come un problema di gradi, ma come una questione di scala. Perché l’Europa, oggi, non è solo più calda: è un continente che si è scaldato più in fretta di quanto pensasse di poter cambiare.