Non c’è solo la lunga e tormentata telenovela del divorzio con Ilary Blasi a complicare il presente di Francesco Totti. L’ex capitano della Roma deve fare i conti anche con una grana giudiziaria che riguarda da vicino una delle sue attività imprenditoriali più note: la Totti Soccer School. La scuola calcio legata al suo nome è stata infatti condannata dalla Corte d’Appello di Roma dopo la causa intentata da una dipendente storica, che per dieci anni aveva lavorato nella segreteria della società.
La sentenza risale allo scorso marzo ed è diventata definitiva a ottobre, dopo che la società ha scelto di non impugnarla. Una decisione che chiude la partita sul piano giudiziario, ma ne apre un’altra, molto più concreta, sul piano dell’esecuzione: perché, a distanza di mesi, alla donna non sarebbe ancora arrivato il risarcimento stabilito dai giudici. Ed è proprio qui che la vicenda cambia peso specifico: non è più una disputa sul “come chiamare” un rapporto di lavoro, ma la verifica brutale di cosa succede quando una sentenza passa dalla carta al conto corrente.
La storia, ricostruita dal Fatto Quotidiano, riguarda una figura centrale nell’organizzazione quotidiana della scuola calcio. La donna, infatti, non era una presenza saltuaria o un supporto esterno “a chiamata”: si occupava di iscrizioni e tesseramenti, del rapporto con le famiglie, della gestione pratica di un’attività che vive di scadenze, modulistica, continuità. Era presente sei giorni su sette e, almeno secondo quanto emerso nel processo, con una disponibilità stabile che poco ha a che fare con l’idea della collaborazione autonoma “a progetto”.
Eppure, per la Totti Soccer School, quel ruolo era formalmente quello di una “collaboratrice autonoma”, con contratti rinnovati di anno in anno, senza ferie e senza le tutele tipiche del lavoro subordinato. Un modello che nella pratica è stato spesso usato in tanti settori, soprattutto dove l’organizzazione pretende presenza fissa ma preferisce evitare il perimetro pieno del contratto da dipendente. Il punto, però, è che quando la quotidianità racconta una cosa e i documenti ne raccontano un’altra, prima o poi qualcuno porta tutto davanti a un giudice.
Nel 2017 arriva lo stop: il contratto non viene più rinnovato. A quel punto la donna si rivolge all’avvocata Francesca Massi e decide di far valere le proprie ragioni. In primo grado, però, il Tribunale di Roma non riconosce alla donna un vero rapporto di lavoro dipendente, respingendo la richiesta. Una battuta d’arresto pesante, perché in questi casi la linea di confine è sempre la stessa: autonomia reale o autonomia “di facciata”? In appello, però, il quadro cambia.
Davanti alla Corte d’Appello emergono testimonianze che per i giudici diventano determinanti. Più persone confermano che la segretaria lavorava nella scuola calcio sin dal primo giorno di attività, nel lontano 2007, con modalità incompatibili con una semplice collaborazione autonoma. Per i magistrati, quel tipo di presenza e di mansioni racconta un rapporto stabile, inserito nell’organizzazione, e quindi da trattare come subordinato. È l’elemento che ribalta l’esito del primo grado e porta alla condanna.
Da qui, le conseguenze. La Totti Soccer School deve riassumere la donna e riconoscerle un risarcimento articolato: 16 mila euro per il licenziamento illegittimo e circa 80 mila euro per le differenze retributive maturate nei dieci anni di lavoro, a cui vanno aggiunte le spese legali. Complessivamente, quasi 100 mila euro. Una cifra che per molti è “un numero”, ma per chi ha affrontato anni di causa e un lavoro perso all’improvviso è un punto fermo: non un premio, bensì un riconoscimento economico di ciò che — secondo i giudici — non era stato corrisposto correttamente.
La società non ha impugnato la sentenza, e quindi a ottobre è diventata definitiva. Ma, secondo quanto riportato, il pagamento non sarebbe arrivato. Ed è qui che entra in scena il capitolo più delicato: quello del tribunale fallimentare. L’avvocata della donna ha presentato un ricorso chiedendo l’apertura di una procedura di liquidazione giudiziale, con l’obiettivo di accertare la reale situazione patrimoniale della società e verificare se ci siano risorse, beni, flussi, o se invece il recupero del credito rischi di trasformarsi nell’ennesima maratona.
Il caso, al netto dei riflettori che si accendono inevitabilmente quando nel titolo c’è scritto “Totti”, tocca un nervo scoperto: la gestione delle strutture sportive che portano nomi celebri, la distanza tra immagine e contabilità, tra brand e quotidianità. Perché una scuola calcio non è solo campi, palloni e foto ricordo: è burocrazia, personale, pagamenti, rapporti di lavoro. E quando una sentenza impone riassunzione e risarcimento, non c’è storytelling che tenga: o si esegue, o si apre un altro fronte.
Per il “Pupone” non è un periodo semplice. Tra vicende personali finite per mesi nel tritacarne mediatico e un contenzioso che ora rischia di entrare nella fase più dura, l’ex capitano giallorosso si ritrova con un’altra partita addosso. Solo che questa non si gioca all’Olimpico e non si risolve con una punizione all’incrocio: si gioca nelle aule e nei documenti, e il risultato si misura in atti, tempi, soldi e responsabilità.







