Il mondo sempre più ricco e sempre più diseguale: un nuovo report fotografa una ricchezza concentrata come a inizio Novecento

Parigi, Senna

Il mondo produce più ricchezza che mai, ma la distribuisce sempre peggio. È questo il dato di fondo da cui parte il World Inequality Report 2026, il nuovo studio del World Inequality Lab coordinato da Thomas Piketty, che mette nero su bianco una fotografia impietosa: il 10% più ricco del pianeta detiene oggi il 75% della ricchezza globale. Un livello di concentrazione che, secondo gli economisti, riporta indietro di oltre un secolo, fino alle soglie della Belle Époque, quando i patrimoni si accumulavano nelle mani di pochissime famiglie. L’economia mondiale continua a crescere, ma lo fa in modo profondamente sbilanciato, creando divari che non si limitano più ai redditi ma si radicano nei patrimoni, nell’accesso alle opportunità, nella possibilità stessa di immaginare uno sviluppo futuro.

Il rapporto chiarisce che la frattura non riguarda solo la distanza tra ricchi e poveri, ma la struttura stessa delle società. La metà più povera della popolazione mondiale possiede appena il 2% della ricchezza complessiva, mentre l’1% più ricco supera il 22%. Numeri che raccontano un pianeta diviso in blocchi sempre più impermeabili, dove la mobilità sociale si riduce e il punto di partenza tende a diventare un destino. Gli autori avvertono che senza una correzione politica robusta questo squilibrio rischia di trasformarsi in un elemento strutturale, con conseguenze profonde non solo sul piano economico, ma anche su quello democratico. Quando la ricchezza si concentra in modo così estremo, spiegano, anche il potere tende a concentrarsi, alterando l’equilibrio tra élite e maggioranza.

Le differenze territoriali restano drastiche. L’Europa continua a essere l’area con le diseguaglianze più contenute, mentre Africa, Sud Asia e America Latina presentano livelli di concentrazione tali da frenare lo sviluppo del capitale umano e delle infrastrutture strategiche. In queste aree, la povertà non è solo una condizione economica ma una barriera strutturale che limita l’accesso all’istruzione, alla sanità, alla possibilità di costruire un futuro indipendente dal contesto familiare. È proprio sul fronte delle opportunità che il rapporto individua una delle radici più profonde delle diseguaglianze. La spesa pubblica pro capite per l’istruzione varia da meno di 200 euro l’anno in alcune aree dell’Africa subsahariana a oltre 7.400 euro in Europa. Un rapporto di uno a quaranta che supera abbondantemente le distanze nei redditi medi e definisce traiettorie divergenti per milioni di bambini. Dove l’investimento formativo è basso, la mobilità sociale si arresta e la ricchezza tende a concentrarsi in ristretti gruppi familiari, con un impatto diretto sulla capacità dei Paesi più fragili di costruire economie dinamiche e resilienti.

Il rapporto lega la dinamica distributiva globale anche alla transizione climatica. Il 10% più ricco della popolazione mondiale è responsabile del 77% delle emissioni generate dagli asset privati. Il dato mette in relazione diretta la concentrazione della ricchezza con la concentrazione dell’impatto ambientale, mostrando come le scelte di consumo e di investimento delle fasce più abbienti pesino in modo sproporzionato sul clima. Anche in questo caso, la diseguaglianza non è solo un problema di equità, ma un fattore che incide sulla sostenibilità complessiva del sistema economico globale.

Dentro questo scenario si colloca anche l’Italia, segnalata come uno dei Paesi europei con la maggiore concentrazione della ricchezza. I dati mostrano un quadro definito “non drammatico ma stagnante”. Il 10% più ricco controlla il 56% della ricchezza nazionale, mentre l’1% supera il 22%. La metà più povera non va oltre il 2,5%. Sul fronte dei redditi la distanza è meno ampia, ma comunque significativa: il 10% superiore raccoglie il 32% del totale, contro il 21% del 50% più basso. Numeri che raccontano un Paese in cui il patrimonio continua a essere il vero discrimine sociale, molto più del reddito da lavoro.

Il rapporto sottolinea anche altri nodi strutturali italiani. La mobilità intergenerazionale resta debole, e la partecipazione femminile al mercato del lavoro è ancora ferma al 36,6%, con effetti diretti sul reddito delle famiglie e sulla crescita potenziale del Paese. Anche la capacità redistributiva del sistema fiscale viene giudicata meno incisiva rispetto a quella dei Paesi del Nord Europa, dove le politiche di welfare e l’imposizione progressiva riescono a contenere in modo più efficace la dispersione della ricchezza.

A livello globale, il messaggio del World Inequality Report 2026 è netto: la ricchezza continua a crescere, ma la promessa che la crescita possa automaticamente ridurre le diseguaglianze non si è realizzata. Anzi, in molti contesti si è verificato l’opposto. L’accumulazione patrimoniale ha seguito traiettorie sempre più rapide nelle fasce alte della popolazione, mentre per la maggioranza l’aumento del benessere è stato fragile, intermittente o del tutto assente. In questo scenario, la concentrazione dei capitali tende a rafforzarsi nel tempo, rendendo sempre più difficile spezzare il ciclo che lega ricchezza, potere e opportunità.

Il report non si limita a fotografare il presente, ma invita a leggere queste dinamiche come il prodotto di scelte politiche precise. Tassazione, spesa pubblica, investimenti in istruzione, politiche del lavoro e della transizione ecologica sono i veri snodi su cui si gioca l’evoluzione futura delle diseguaglianze. Senza interventi strutturali, avvertono gli autori, il rischio è quello di un mondo sempre più polarizzato, in cui la crescita economica convive stabilmente con una frattura sociale difficile da ricomporre.

La fotografia che emerge è quella di un pianeta che produce ricchezza come mai prima d’ora, ma che fatica a trasformarla in benessere diffuso. Un mondo in cui la distanza tra chi possiede tutto e chi possiede quasi nulla non è più una semplice forbice, ma un vero e proprio fossato che attraversa continenti, generazioni e sistemi economici. Un fossato che, secondo i dati, continua ad allargarsi mentre la ricchezza globale cresce.