In Italia le tappe della vita non scorrono più come un tempo. Il passaggio alla piena età adulta si dilata, cambia ritmo, accumula ritardi che diventano strutturali e si riflettono nei numeri delle statistiche demografiche. Oggi ci si laurea più avanti, si lascia la casa dei genitori intorno ai trent’anni, ci si sposa quasi a quaranta e il primo figlio arriva mediamente dopo i trentadue anni della donna. Una fotografia che racconta molto più di una semplice trasformazione culturale: è lo specchio di un Paese che invecchia e in cui i giovani sono sempre meno.
Tra il 2005 e il 2024 il calo degli italiani tra 25 e 34 anni è stato drastico: da 8,5 milioni a 6,2, un crollo del 26,6%. Una generazione rarefatta, numericamente schiacciata tra due curve demografiche che seguono traiettorie opposte: gli under 24 diminuiscono appena, mentre la popolazione complessiva cresce leggermente. Nel mezzo, proprio nella fascia che dovrebbe costruire lavoro, famiglie e futuro, la spirale si restringe.
Allungare i tempi dell’età adulta significa modificare la mappa stessa delle abitudini familiari. Nel 2024 quasi la metà dei giovani tra 25 e 34 anni viveva ancora con i genitori: il 44%, una percentuale che diventa 63,3% se si considerano tutti gli under 35. E il dato, anziché ridursi, cresce rispetto al 2005. Nonostante le misure per favorire l’acquisto della prima casa e i bonus dedicati alle giovani coppie, il passaggio a un’abitazione autonoma resta un traguardo lento, spesso incerto, e comunque più tardo rispetto ad altri Paesi europei.
Parallelamente diminuisce il numero dei matrimoni nelle età tradizionalmente considerate “centrali”: tra gli uomini 25-34 anni il tasso per mille residenti è passato da 36 a 22; tra le donne da 38 a 24. Un calo che rispecchia sia la trasformazione culturale sia l’instabilità economica che accompagna le nuove generazioni. Si rinvia, si pondera, si lascia aperta la porta a una stabilità che molti non percepiscono come raggiungibile in tempi brevi.
Sul fronte dell’istruzione, intanto, i numeri si muovono nella direzione opposta. Tra i 24 e i 34 anni la quota di laureati è più che raddoppiata, passando dal 16,2% del 2005 al 31,6% attuale. Aumentano gli anni di studio, aumenta l’età media alla laurea – 25 anni per il primo livello, oltre 26 per la magistrale – e aumenta anche il numero di studenti che lavora già prima di concludere gli studi: erano il 36% tra i laureati del 2015, sono il 42% nel 2023, un dato che mostra la pressione crescente a “tagliare i tempi”, anticipare il contatto con il mondo del lavoro pur restando nel percorso universitario.
Ed è proprio il lavoro il crocevia più delicato di questa trasformazione. L’occupazione giovanile ha recuperato terreno rispetto ai minimi del 2014: oggi il 68,7% dei giovani tra 25 e 34 anni ha un impiego. Ma essere lavoratori non significa più, come un tempo, essere automaticamente genitori. Solo il 22,7% di questi occupati ha un figlio: 965mila giovani genitori su 4,2 milioni di occupati. Una quota in costante diminuzione nonostante l’aumento dell’occupazione, segno che le condizioni economiche non bastano più a spiegare la scelta di rinviare la maternità e la paternità. In molti casi è una decisione legata alla percezione che mettere su famiglia significhi interrompere percorsi personali, precarizzare equilibri appena raggiunti, rinunciare a possibilità ancora aperte.
Nel complesso, secondo le elaborazioni più recenti, solo il 13% degli italiani tra 18 e 34 anni ha già un figlio. E tra i 12 milioni di residenti nella fascia 25-34 anni si contano oggi circa 184mila genitori soli under 35 e 851mila donne con figli che vivono in coppia. Nel 2005 erano il 10,8%: un declino che racconta una verità più profonda della denatalità, quella della “de-genitorialità”, un progressivo allontanamento dalla scelta di diventare madre o padre nelle età in cui un tempo si costruiva la base della piramide sociale.
La traiettoria è chiara: i giovani sono meno, arrivano più tardi alle tappe fondamentali della vita, costruiscono famiglie con maggiore cautela e tendono a rimanere più a lungo nella casa d’origine. Un Paese che cambia, lentamente ma inesorabilmente, con un’intera generazione sospesa tra aspettative nuove e un equilibrio economico e sociale sempre più difficile da raggiungere.







