Italia in apnea: quattro su dieci vivono con l’incubo del carovita e nessuna fiducia nel futuro

Persone in centro città

L’ultimo sondaggio di Only Numbers fotografa un Paese esausto: per il 53,6% degli italiani la propria situazione economica è ferma, per il 37,4% è peggiorata. Crescono ansia, debiti e rinunce quotidiane.

L’Italia non respira più. Non è solo un’impressione, ma un dato misurato: quattro italiani su dieci confessano di vivere con l’incubo del carovita. L’inflazione rallenta, ma non arretra; i prezzi al supermercato restano alti, le bollette tornano a salire, i mutui mordono i redditi. E i salari, semplicemente, non tengono il passo.

Secondo l’ultimo rilevamento di Only Numbers, realizzato per Euromedia Research, il 53,6% degli intervistati dichiara che la propria condizione economica è rimasta invariata negli ultimi due anni. Per il 37,4% è addirittura peggiorata. Solo una minoranza – meno del 10% – parla di miglioramenti. Un Paese che non cresce, e che soprattutto non si sente più al sicuro.

«Il tema del costo della vita è da anni in cima alle priorità degli italiani», spiega Alessandra Ghisleri, direttrice dell’istituto. «Subito dopo vengono la salute e la difficoltà di accesso ai servizi sanitari. È come se l’economia e il benessere fisico fossero diventati due facce della stessa fragilità». La fotografia è impietosa: il 39,6% indica proprio il carovita come principale emergenza nazionale, mentre il 28,1% segnala la crescente difficoltà nel far fronte agli obblighi fiscali. Significa che quasi un italiano su tre sente di non riuscire più a reggere il peso delle tasse.

Ma dietro i numeri si nasconde un disagio più profondo, quasi antropologico. Gli italiani non credono più nel futuro. L’insicurezza non riguarda solo il lavoro o i risparmi: è diventata un’abitudine emotiva, una condizione mentale. «Ci si sente poveri anche quando non lo si è del tutto – osserva Ghisleri – perché si percepisce di non avere controllo. La paura di cadere, di non farcela, è diventata la colonna sonora del Paese».

Le famiglie tagliano su tutto: vacanze ridotte, cene fuori sempre più rare, spese mediche rimandate. Il 30% degli intervistati dichiara che la salute rappresenta oggi una delle voci più onerose del bilancio familiare, seguita dalla casa e dall’auto. Non si tratta di lussi, ma di necessità quotidiane diventate ostacoli. E poi c’è la scuola. Il 10,3% delle famiglie segnala che le spese scolastiche sono ormai insostenibili. Zaini, libri, mensa, trasporti: il rientro in classe pesa più di una rata di mutuo. Tra i giovani la percentuale sale al 31%, un segnale che racconta molto della nuova povertà generazionale.

Nel frattempo, la denatalità continua a erodere la base della società. Il 2,2% degli italiani ammette che la nascita di un figlio è oggi percepita più come un peso economico che come una gioia. Una frase che solo vent’anni fa sarebbe sembrata cinica, oggi è un riflesso della realtà. «Un Paese che non riesce più a mettere al mondo bambini è un Paese che ha smesso di credere in se stesso», commenta Ghisleri. A preoccupare non sono solo le famiglie. Anche i pensionati, spesso dopo una vita di contributi, si ritrovano con assegni incapaci di coprire le spese di base. Secondo i dati Inps, entro il 2040 mancheranno cinque milioni di lavoratori: un vuoto che metterà a rischio la tenuta dell’intero sistema previdenziale.

Eppure, mentre l’Italia si dibatte tra inflazione e precarietà, il dibattito pubblico sembra concentrato su tutt’altro: le polemiche politiche, le guerre di bandiera, i sondaggi elettorali. La questione sociale, quella vera, scivola ai margini. Non è un caso che la paura del futuro superi oggi la paura della guerra o del terrorismo. Il cittadino medio si sente più minacciato dal carrello della spesa che da un missile. Non teme l’attacco di un nemico esterno, ma la lenta erosione della propria dignità economica.

Secondo l’indagine, il 44% degli italiani ammette di non avere alcun risparmio e di vivere “alla giornata”. Il 17% si è indebitato nell’ultimo anno per far fronte a spese impreviste, e uno su cinque ha rinunciato a cure mediche per motivi economici. Numeri che disegnano un Paese che sopravvive, ma non vive. Eppure, paradossalmente, la fiducia nelle istituzioni non crolla del tutto: resiste un sentimento di attesa, quasi di rassegnata speranza. «Gli italiani non si ribellano, ma si chiudono – osserva Ghisleri –. Si difendono tagliando i sogni, rinunciando alla progettualità, e accontentandosi del presente».

Il risultato è un’Italia che corre senza avanzare. Gli stipendi restano fermi, la produttività è stagnante, il potere d’acquisto continua a ridursi. Nel frattempo, il linguaggio politico si riempie di slogan su “aiuti”, “bonus” e “riforme strutturali”, ma l’effetto sulla vita quotidiana è minimo. C’è chi invoca una grande riforma fiscale, chi chiede un taglio del cuneo permanente, chi una politica salariale più coraggiosa. Ma la sensazione diffusa è che, nel frattempo, si stia perdendo tempo.

E così, mentre la guerra torna a bussare alle porte dell’Europa e i cieli del Mediterraneo si riempiono di droni e tensioni, gli italiani guardano in basso, al proprio portafoglio. La geopolitica può attendere: il carovita no. Perché quando ogni giorno diventa una battaglia per pagare la bolletta, riempire il frigo o curarsi, la parola “futuro” perde significato. E un Paese che smette di immaginarlo, smette anche di costruirlo.