La battaglia si combatte tra incensi e canti gregoriani, ma le ferite che lascia sono tutt’altro che simboliche. È la guerra interna che attraversa da decenni la Chiesa cattolica: quella sul messale antico, in latino, usato prima del Concilio Vaticano II. E che ora, a soli quattro mesi dal conclave, investe direttamente papa Leone XIV.
Il 25 ottobre, infatti, il cardinale Raymond Leo Burke potrà celebrare una messa in latino a San Pietro, durante il pellegrinaggio Summorum Pontificum. L’autorizzazione è arrivata dal Pontefice stesso, ed è un’inversione di rotta rispetto agli anni scorsi, quando papa Francesco aveva vietato il rito pur lasciando libero il pellegrinaggio. La International Una Voce Federation, associazione tradizionalista, ha subito esultato: “È la prima indicazione concreta dell’atteggiamento di Leone XIV verso la Messa tradizionale”.
La decisione non nasce dal nulla. Solo poche settimane fa, il 22 agosto, Burke era stato ricevuto in udienza dal cardinale Robert Francis Prevost. In quell’occasione aveva ribadito il suo auspicio: “Ho espresso al Santo Padre il desiderio che ponga fine alla persecuzione dei fedeli legati al rito antico”. Parole pesanti, che hanno fatto rumore in una Chiesa ancora divisa dalle scelte di Bergoglio.
Dietro questa apertura non c’è solo liturgia. Al conclave Burke – come il cardinale guineano Robert Sarah – avrebbe votato convintamente per Prevost. E adesso, dicono i vaticanisti, è tempo di “andare all’incasso”. A sostegno dei tradizionalisti, nelle ultime settimane si sono aggiunte voci di peso, come quella del cardinale Kurt Koch, che ha definito “auspicabile riaprire la porta oggi chiusa”. Non solo: persino esponenti politici come Slawomir Cenckiewicz, consigliere del presidente polacco Karol Nawrocki, hanno portato il tema a Leone, denunciando le “ingiustizie di Traditionis Custodes”, il motu proprio con cui Francesco aveva stretto i margini del rito preconciliare.
Per capire il peso della disputa bisogna tornare al 2007, quando Benedetto XVI liberalizzò il messale antico con il motu proprio Summorum Pontificum. Una scelta pensata per frenare le derive liturgiche moderne – dalle celebrazioni trasandate alle chitarre in chiesa – ma che ha rischiato di creare due comunità parallele. “Il modo in cui si prega rispecchia il modo in cui si crede: lex orandi, lex credendi”, spiega Andrea Grillo, teologo del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. “Ratzinger ha aperto una porta che però metteva in discussione l’intero impianto del Concilio Vaticano II”.
Ecco perché Francesco, nel 2021, aveva riportato indietro l’orologio con Traditionis Custodes, riducendo drasticamente le possibilità di celebrare col vecchio rito. Per il Papa argentino, il rischio era che i tradizionalisti – minoranza numerica ma rumorosa – scivolassero in un rifiuto del Concilio tout court.
Ora Leone XIV sembra voler riaprire lo spiraglio. Ma la mossa divide. Per Diane Montagna, giornalista conservatrice americana, esisterebbe addirittura un documento segreto secondo cui già nel 2020 molti vescovi dubitavano della linea restrittiva. Una prova, dice lei, che il vento era già cambiato. Dal Vaticano hanno replicato che si tratta di una “ricostruzione parziale”, materiale cestinato e non vincolante. “Il Papa deve resistere ai ricatti dei tradizionalisti”, ha commentato il vaticanista Robert Mickens.
Il rischio di una guerra liturgica, più che di una pace, è concreto. “Un cedimento in questa materia non unisce, ma divide”, avverte ancora Grillo. Non a caso, il gesto di Leone è stato subito interpretato come simbolico. Sin dalla sua prima apparizione, con la mozzetta rossa che Francesco aveva rifiutato in segno di semplicità, il nuovo Papa è apparso più legato alle forme classiche. Ma secondo gli esperti non va caricato di eccessivo significato: “Così vestivano anche Giovanni XXIII e Paolo VI, i Papi del Concilio”, ricorda Grillo.
Il punto vero resta la liturgia. Ammettere due riti paralleli, secondo i critici, significherebbe trasformare la Chiesa in un “supermercato del sacro”, dove ognuno sceglie la propria formula preferita. Un rischio che potrebbe incrinare l’unità ecclesiale. La via possibile, dicono i teologi, è invece recuperare all’interno del messale post-conciliare alcuni elementi estetici e spirituali trascurati: il canto, il silenzio, i gesti simbolici. “La bellezza della liturgia non richiede di tornare al rito antico: anche con l’attuale messale si può celebrare tutta la messa in latino, se si vuole”, osserva Grillo.
E allora il 25 ottobre diventa più di una data: sarà il banco di prova del nuovo pontificato. Da un lato, l’entusiasmo dei tradizionalisti che si sentono finalmente riconosciuti. Dall’altro, il timore che una piccola concessione possa diventare la crepa attraverso cui far rientrare un’intera stagione di contrapposizioni. Leone XIV, con un solo gesto, si ritrova al centro di una guerra che non ha scelto ma che potrebbe segnarlo: quella tra la nostalgia del passato e la promessa – mai pienamente realizzata – del Concilio Vaticano II.