Spero che alla fine Hamas, concordata qualche rettifica, firmerà il piano tra Trump e Netanyahu siglato di recente alla Casa bianca. Oggi voglio però soffermarmi su di un cruccio che mi porto dietro da due anni e che mi spinge ad una conclusione sconsolata.
Una premessa. Israele ha rappresentato in passato per me e molte persone della mia generazione un mondo attrattivo, con cui s’era stabilito, fin dal dopoguerra, un solido legame sentimentale. Faccio quindi fatica ad accettare questa sua insensata trasformazione di questi ultimi 24 mesi. Comprendo solo fino a un certo punto l’interrogativo retorico che alcuni famosi giornalisti hanno posto immediatamente dopo il sette ottobre del 2023. Quale altra reazione poteva, dopo il 7 ottobre, avere Israele di fronte ai fatti orribili che avevano registrato l’uccisione di 1200 persone tra civili e militari e il rapimento di altre 250? Ma siamo proprio certi – domando a mia volta – che la reazione obbligata non potesse essere che uno sterminio di massa? Stiamo ai fatti. Dopo la morte di circa 65 mila persone di cui oltre 20 mila bambini e un numero incredibile di feriti e mutilati, gli ostaggi sulla Striscia non sono stati trovati ed è certo che quasi tutta l’ala militare di Hamas, composta da non meno di 15 mila terroristi, ancora oggi faccia base tra le macerie di Gaza. Ricordo che la democrazia israeliana, nel passato, per difendersi, non sparava nel mucchio ma raggiungeva nel tempo dovuto e con millimetrica precisione gli obiettivi che si prefiggeva.
In questi due terribili anni ho spesso riportato alla luce dal fondo della memoria il mio rapporto con Israele. Confesso che una delle soddisfazioni più grandi della mia adolescenza fu rappresentata dall’insediamento degli israeliani in un lembo di Palestina. Anche se nel 1948 ero troppo bambino per capire l’immane portata di quella loro prima dimora che, dopo tante fughe disperate, si accendeva di vita nuova. Presto infatti cominciai ad apprezzare la capacità di quella piccola comunità di difendersi dai suoi nemici. Capitava spesso infatti che qualche territorio vicino, mal sopportando l’irriducibile alterità israeliana e considerando quell’ insediamento, deciso rigidamente dall’alto, un sopruso, attaccava i nuovi venuti. Devo aggiungere che la comunità ebraica si difendeva con strabiliante prontezza, spesso bruciando sul tempo le strategie dei suoi nemici.
Quella giovane democrazia, unica nello scenario politico del Medio Oriente, in molti gesti suscitava ammirazione nel mondo. Dal deserto e dalla sua millenaria aridità riusciva a cavare oro. Sono dunque cresciuto con questo mito che poggiava certo sull’unicità dello sterminio che quel popolo randagio aveva subìto ma anche sulle qualità intellettuali e la capacità di crescita che una grande parte della comunità ebraica mostrava di possedere.
Non intendo farla lunga, ma quando Papa Giovanni XXXIII soppresse dalla liturgia pasquale la formula “perfidi giudei”, da cattolico, dentro di me, feci festa. Una festa contenuta, come tradizionalmente si rivelano le feste dei cattolici.
Ho fatto questa lunga premessa per aggiungere che quello che in questi due anni i miei occhi sono stati costretti ad osservare sul tragico scenario di Gaza mi ha inferto un dolore intenso. Allo stato puro. Forse maggiore di quello provocato – so di pronunciare una bestemmia – dall’Olocausto. Per un fatto semplice. Il genocidio degli ebrei ci è stato raccontato nei libri di storia, sui giornali del dopoguerra e talvolta dalla “Settimana Incom illustrata” che nei cinematografi del tempo faceva da traino ai film. Le immagini di Gaza, le abbiamo osservate in diretta. I bambini maciullati dalle bombe, quelli morti per fame o quelli uccisi da una sventagliata di mitra mentre correvano a raccogliere qualcosa da mangiare che pioveva dal cielo, i carretti carichi di vecchi, di bambini, di materassi, di pentole, guidati da asini stanchi e diretti non si sa dove, i palazzi sventrati, le scodelle che i bambini agitano disperati intorno ad una caldaia irraggiungibile, piena di brodaglia, sono scene che abbiamo visto – ripeto – ogni giorno per due anni, seduti nella tranquillità delle nostre case. Purtroppo la potenza delle immagini oggi appare decisiva nella costruzione del sentimento del mondo. Di qui il dilagare dell’antisemitismo che purtroppo temo non si fermerà negli anni a venire.
Infine la preannunciata conclusione sconsolata. Tutti sappiamo che le guerre sono crudeli, anche se quella che si consuma a Gaza non può essere definita tale perché le guerre si combattono tra eserciti e non certo tra un esercito armato fino ai denti e bambini inermi. Questo sterminio di massa di un popolo indifeso che si registra a Gaza, comunque lo si voglia filologicamente definire, poteva essere compiuto da qualunque nazione – la guerra, si sa, presenta sempre tratti barbarici – ma mai da un popolo che ha subìto l’Olocausto.
Agazio Loiero