Leonardo Maria Del Vecchio sembra aver contratto una forma acuta e irreversibile di quella che a Roma chiamano, senza troppi giri di parole, “giornalite”. Una passione improvvisa, costosa e spesso irrazionale per i giornali, che negli ultimi mesi lo ha visto muoversi con un’agitazione degna più di un editore navigato che di un erede di impero industriale abituato a ben altri tavoli. Dopo il tentativo – per ora fallito – di mettere le mani sul gruppo Gedi con una controfferta da 140 milioni di euro, il quarto figlio del fondatore di Luxottica non si è fermato. Anzi, ha accelerato.
Nei giorni scorsi due emissari della sua holding LMDV, Marco Talarico e Gabriele Benedetto, sono stati spediti a Roma per sondare il terreno su un altro fronte sensibile: l’acquisizione de Il Giornale. Dall’altra parte del tavolo Antonio e Giampaolo Angelucci, titolari del 70% del quotidiano milanese fondato nel 1974 da Indro Montanelli, mentre il restante 30% resta in mano alla famiglia Berlusconi. Un dialogo esplorativo, certo, ma tutt’altro che campato in aria.
Che i fratelli Angelucci stiano seriamente pensando di mollare Il Giornale non è più un segreto nei palazzi che contano. Dopo aver messo insieme un piccolo polo editoriale di destra – con Libero già stabilmente a Milano – l’acquisto del quotidiano storico è apparso fin dall’inizio più come una mossa politica che industriale. Trentacinque milioni sborsati nella primavera del 2023 con l’idea, mai nascosta, che l’investimento potesse aprire porte ben più remunerative sul fronte della sanità privata lombarda.
Quelle porte, però, non si sono mai aperte. Le promesse, raccontano i diretti interessati, sono rimaste tali. E sotto la Madonnina, dove il potere reale segue geometrie proprie, la partita della sanità continua a essere saldamente presidiata da altri equilibri, a partire dall’asse che ruota attorno alla famiglia La Russa. Risultato: nessuna “gran cuccagna” di appalti, nessuna espansione significativa, solo un giornale costoso da mantenere e un ritorno politico inferiore alle aspettative.
Nel frattempo è finita nel nulla anche l’ipotesi di acquisire l’agenzia Agi dall’Eni. Un’operazione che avrebbe potuto dare senso strategico al mosaico editoriale degli Angelucci, ma che si è arenata rapidamente, lasciando sul tavolo una domanda sempre più insistente: a cosa serve, oggi, possedere due quotidiani di destra nello stesso mercato? Una domanda che, evidentemente, ha trovato orecchie attente in casa Del Vecchio.
Leonardo Maria, dal canto suo, arriva a questo nuovo dossier con il nervosismo di chi sente di aver perso un treno importante. La partita Gedi, data per possibile fino a poche settimane fa, si è sgonfiata tra smentite, silenzi e veti incrociati. E così l’erede di Agordo, che da tempo cerca un ruolo più visibile e incisivo nel mondo dell’informazione, si è rimesso in caccia. Con uno stile diretto, poco incline alla pazienza, e una propensione a muoversi in prima persona che a molti, nel settore, appare ancora acerba.
Il Giornale rappresenta per lui un obiettivo diverso da Gedi: meno complesso, meno costoso, più identificabile politicamente. Un giornale con un marchio forte, una storia ingombrante e una collocazione chiara nello schieramento conservatore. Un’operazione che, se andasse in porto, segnerebbe l’ingresso definitivo di Del Vecchio junior nell’editoria politica italiana, non più come comprimario curioso ma come proprietario con ambizioni di influenza.
Resta da capire la posizione della famiglia Berlusconi, titolare del 30% della testata, e se l’eventuale passaggio di mano incontrerebbe resistenze o convergenze. Così come resta da verificare se l’attivismo di LMDV sia frutto di una strategia coerente o dell’inquietudine di un erede che, dopo aver visto sfumare Gedi, non intende restare a mani vuote.
Di certo, nel risiko dell’informazione italiana, la pedina Del Vecchio si muove sempre più spesso e sempre più nervosamente. E quando i grandi patrimoni iniziano a inseguire i giornali non per mestiere ma per bisogno, la sensazione è che la “giornalite” non sia più solo una metafora. Se vuoi, al prossimo giro possiamo stringere ancora di più il coltello sul sottotesto politico-economico dell’operazione.







