La scuola italiana conserva un tesoro che altrove è stato smantellato pezzo dopo pezzo: la libertà di insegnamento. Non è uno slogan, è un principio scolpito nell’articolo 33 della Costituzione, dove si afferma che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Una formula che, letta oggi, ha quasi il suono di un avvertimento: chi prova a mettere le mani maldestramente sulla scuola deve fare i conti con un baluardo costituzionale costruito apposta per evitare intrusioni, mode pedagogiche calate dall’alto e tentativi di piegare la scuola a interessi esterni.
Gli organi collegiali sono l’altra metà della storia. Una piccola democrazia quotidiana, fatta di discussione, confronto, responsabilità condivisa. In Europa un sistema del genere semplicemente non esiste. E forse per questo, ogni tanto, torna la tentazione di “normalizzare”, di rendere la scuola un luogo governabile dall’esterno, con pacchetti metodologici preconfezionati e disciplinarità addomesticate.
Il punto è che una vera libertà professionale dà fastidio. Se un insegnante è libero, non può essere ingabbiato. Se è libero, nessun guru può decidere al posto suo quale metodo adottare, quale moda seguire, quale narrazione pedagogica sposare. Eppure la pressione aumenta, giorno dopo giorno. Polemiche sulle “lezioni frontali”, demonizzazioni sterili, accuse di immobilismo. Sembra quasi di assistere a una crociata contro la cultura stessa. Perché sì, la lezione frontale non piace a chi non sa farla: richiede studio, tempo, capacità oratoria, conoscenza solida.
L’obiettivo, spesso non dichiarato, è insinuare l’idea che l’insegnante non debba più decidere. Peccato che non funzioni così. Per scelta dei costituenti, la scuola è uno spazio di libertà intellettuale prima che un servizio amministrativo. E i nervi della docenza non possono essere tirati come fili di una marionetta.
La verità è semplice e scomoda: al centro del lavoro degli insegnanti non c’è il marketing educativo, non c’è la gara a chi inventa l’etichetta più accattivante, non c’è la fuffa di chi confonde pedagogia e consulenza. C’è la cultura. C’è il benessere reale dei ragazzi, quello che nasce quando escono da scuola avendo imparato qualcosa che avranno per sempre.
Questo patrimonio dà fastidio perché non si compra, non si dirige, non si addomestica. Resiste. E proprio per questo va difeso con la stessa lucidità con cui i padri costituenti lo hanno immaginato. Nel mondo che corre verso modelli educativi iperstandardizzati, la libertà di insegnamento è il nostro piccolo atto quotidiano di civiltà. Continuità ideale tra passato e futuro, e una responsabilità che nessuno può toglierci.
Noi insegnanti in questo momento ci stringiamo intorno alla nostra “Radio Londra”, parliamo di tutto ciò tra di noi, ben abbracciati alla Costituzione della Repubblica Italiana che è il nostro faro. Resistiamo.
di Marco Pugliese – Docente, giornalista, analista economico







