L’ammiraglio Treu e la forza della pace che viene dal pensiero 

C’è qualcosa di sorprendente e, insieme, di profondamente nobile nelle parole di Paolo Treu, già Comandante in Capo della Squadra Navale, uno che la guerra l’ha studiata, vissuta e comandata. Non un pacifista improvvisato, non un “girotondino”, ma un uomo che ha avuto la responsabilità del braccio operativo della Marina Militare.

Il suo post su LinkedIn è un manifesto semplice e disarmante: “Rifiutati di essere complice”. Non è rivolto ai politici “attaccati alla poltrona” che nelle guerre vedono opportunità per rafforzare il proprio potere. Non è rivolto a chi si arricchisce vendendo armi. Non è rivolto neppure ai militari in servizio, che devono concentrarsi sui propri doveri e sulla sopravvivenza. È rivolto a noi, cittadini liberi, che abbiamo ancora la possibilità di pensare.

“Se siamo convinti che non dobbiamo aspettarci altro che la guerra — scrive Treu — con la forza del pensiero finiamo per attirarla inconsapevolmente, diventando complici di chi la guerra la vuole davvero.”

È una riflessione spiazzante: la guerra non nasce soltanto nei palazzi della politica o nelle fabbriche di armamenti, ma anche nella rassegnazione collettiva, nella convinzione che sia inevitabile. E in questo senso ciascuno di noi ha una responsabilità.

Treu non propone un disarmo retorico, né una resa di fronte all’aggressore. Propone qualcosa di più radicale: scegliere di vivere la pace, di coltivarla dentro di sé, di opporsi al bombardamento mediatico che ci porta a sentirci già in guerra. Chi crede può farlo pregando, chi non crede può farlo richiamandosi a un ordine scientifico e naturale. Il punto non cambia: non accettare la logica della guerra come unica realtà possibile.

Un messaggio che stride con il cinismo di chi liquida la pace come roba da anime belle. Eppure basterebbe studiare l’economia per capire che la guerra è sempre un gioco a somma negativa: non ci sono vincitori, ma solo sistemi che collassano. A rimetterci sono sempre i popoli, i civili, i bambini. Chi non riesce a provare empatia per loro, chi non sente un brivido davanti al dolore delle vittime, può forse dirsi ancora umano?

L’ammiraglio, che ha servito l’Italia al massimo livello militare, oggi ci ricorda che la Difesa non è fatta per alimentare conflitti, ma per preservarci da essi. Che il compito più alto non è la supremazia, ma la cooperazione. E che la pace, se non la viviamo noi per primi, non verrà mai.

Ecco perché le sue parole meritano di essere ascoltate: non sono un’utopia da social, ma un avvertimento di chi sa che la guerra è vicina, e che proprio per questo non possiamo diventare complici di chi la vuole davvero.

Battista Bruno