Mandato scaduto, gara aperta: Sace spende e (forse) pensa alla riconferma di Ricci

A pensar male si fa peccato, si dice. Ma a volte – come spesso accade nei corridoi della pubblica amministrazione – si centra il bersaglio. E il caso della nuova gara pubblica bandita da Sace, la società controllata al 100% dal ministero dell’Economia, rischia di rientrare perfettamente in quella categoria. Il bando, pubblicato proprio in questi giorni, prevede oltre un milione di euro per servizi di comunicazione integrata, ufficio stampa, monitoraggio reputazionale e gestione social. Un’operazione imponente, articolata in tre lotti distinti, che a prima vista potrebbe sembrare parte della normale gestione di una realtà così strategica. Se non fosse per un piccolo dettaglio: la Sace è senza guida certa. O meglio: l’amministratrice delegata Alessandra Ricci è formalmente scaduta lo scorso 31 dicembre, ma ancora in carica in regime di prorogatio. E guarda caso, proprio ora, parte una delle gare più delicate dell’intero mandato.

Coincidenze? Sciramente sì. Ma il tempismo solleva più di un sopracciglio. Anche perché, giusto per rinfrescare la memoria, la stessa Ricci aveva soppresso la Direzione Comunicazione della società nel luglio 2024, dichiarandola evidentemente non più necessaria. Oggi, invece, scopriamo che per comunicare servono tre gare, tre agenzie e oltre un milione di fondi pubblici. Dunque, o la scelta di sopprimere la direzione era sbagliata, o questa campagna ha un obiettivo diverso. E più urgente.

Chi conosce la macchina pubblica sa bene come funzionano certe dinamiche: una gara così imponente si costruisce in settimane, si approva in silenzio e si pubblica quando serve. E la tempistica – con il dossier sulla riconferma di Ricci che agita i vertici del Mef e divide la politica – sembra tutto fuorché neutrale. Una macchina di comunicazione che parte proprio mentre l’AD è in piena corsa per il rinnovo suona quantomeno opportuna. O, per usare un eufemismo, “tempestiva”.

Non si tratta, sia chiaro, di lanciare accuse infondate. Ma di leggere i segnali, perché in un’azienda come Sace – che gestisce miliardi di euro in garanzie pubbliche alle imprese italiane – la trasparenza non è un dettaglio. È un dovere. Eppure, l’impressione è che la gestione delle nomine e delle risorse si stia muovendo come spesso accade in Italia: a fari spenti, ma con molti sguardi puntati. Il ministero dell’Economia è informato, a Palazzo Chigi le antenne sono dritte e da settimane circolano indiscrezioni su manovre parallele che coinvolgerebbero perfino la Farnesina, con presunti interventi “istituzionali” per spingere la permanenza della Ricci.

Fonti vicine al dossier parlano di un pressing in corso da parte di diplomatici e dirigenti del Tesoro, con un nome ricorrente: quello di Ettore Sequi, ex segretario generale della Farnesina, oggi figura chiave negli equilibri interni al governo, che si starebbe muovendo per blindare la conferma dell’attuale AD. Una dinamica, anche questa, quantomeno curiosa: che c’entrano la diplomazia e gli esteri con una società economica come Sace? Forse nulla, forse tutto. Ma il fatto stesso che circoli questa voce racconta molto del clima che si respira nei palazzi.

A volerla raccontare con un po’ di cinismo, sembra una partita a poker giocata con le carte scoperte, in cui però ognuno guarda il mazzo dell’altro. E mentre in superficie tutto appare regolare – una gara pubblica, un iter formale, nessuna violazione apparente – nel sottosuolo si muove la solita macchina opaca delle pressioni, delle alleanze e delle spinte incrociate. Con un paradosso finale: mentre il governo chiede spending review e rigore, Sace si prepara a spendere oltre un milione di euro per raccontare bene sé stessa. E forse, anche chi la guida.

Il problema, insomma, non è la gara in sé, ma il contesto. Se davvero la comunicazione è strategica, perché smantellarla un anno fa? E se oggi torna indispensabile, perché farlo proprio nel momento più delicato per la leadership dell’azienda? In mezzo ci sono i soldi pubblici, la credibilità istituzionale e la trasparenza che, quando si maneggiano miliardi di garanzie, dovrebbe essere non solo garantita ma anche ostentata.

Invece, come spesso accade, si naviga tra le righe, nella zona grigia che separa la legittimità formale dall’opportunità politica. Tutto regolare, certo. Ma anche questa volta – come troppe altre – l’impressione è che a pagare non sia chi decide, ma chi osserva e tace. Con in sottofondo, ancora una volta, l’eco scomoda di una domanda: a chi serve davvero questa campagna?