Natale 2025, festa di speranza anche per chi non crede. Ma quest’anno il mondo intero vive in un clima di tumulto

Il Natale, per chi crede, è una festa di speranza. Infonde solitamente un’atmosfera di serenità che lambisce spesso anche chi non crede. Quest’anno, però, il mondo intero vive in un clima di tumulto.

Si assiste a un numero infinito di conflitti in atto sul pianeta. La guerra d’invasione della Russia contro l’Ucraina sembra, nei fatti, senza sbocchi realistici se non alle condizioni dettate da Putin. Quella d’Israele a Gaza, che ha già registrato oltre 70 mila morti – fra i quali resta altissimo e straziante il numero dei bambini – non è ancora terminata.

Mentre con la Russia si tenta di avviare trattative di ogni tipo, il suo imponente esercito avanza indifferente verso l’Ucraina. Putin, che ha iniziato l’invasione fin dal 24 febbraio 2024, non è però ancora riuscito a sfondare in forma definitiva la linea di difesa avversaria, né ha alcuna intenzione di porre fine al conflitto.

Si sente tanto padrone del gioco del mondo da tentare di dettare anche la politica interna di questo povero Paese invaso. Pretende che si celebrino senza indugio le elezioni politiche.

Non parliamo dell’America che, con l’elezione di Trump, ha mostrato la parte peggiore di sé. Il presidente, proteso verso il Nobel per la pace, si limita a condurre trattative diplomatiche senza un vero sbocco definitivo. Nutre un solo sentimento: l’invidia per i poteri di cui dispone il suo omologo russo.

Le vicende internazionali cui ho accennato, insieme alla democrazia dappertutto in declino – non solo negli Stati Uniti che ne hanno rappresentato per tanti decenni la fiaccola, ma anche nella nostra Europa – producono purtroppo un diffuso senso di scoramento.

Non volendo continuare su questo sgradevole registro, mi soffermo solo su due motivi emblematici di questo nostro tempo. Uno, all’apparenza irrilevante, che cito per un’esigenza di cronaca; l’altro di una gravità spaventosa, presente ma non ancora sufficientemente colto nella sua vera dimensione in Europa e nel mondo.

Il primo riguarda il presidente francese Macron. Il personaggio rappresenta una dimostrazione plastica di come spesso, in politica, il comico e il tragico si mischino fino a fondersi. Con tutto il rispetto che nutro per coloro che lavorano per la pace, trovo del tutto avventato il tentativo del presidente francese di voler piegare da solo lo zar della Russia all’interruzione del conflitto.

Di questi inviti individuali a Putin e a Netanyahu, i due tragici protagonisti di tali insensate imprese, ne ha fatti un numero spropositato in questi anni di guerra. Tutti conclusi senza successo. Ciò non di meno, Macron imperterrito continua in questi velleitari sforzi individuali.

Può darsi che questa volta l’incontro con Putin abbia luogo. Che possa avere un esito positivo, però, tenderei a escluderlo.

Perché lo fa? Per un politico la disfatta peggiore è reiterare pervicacemente lo stesso insuccesso. Lo fa anche perché la Francia – che pure è il Paese che, per molti versi a cominciare dalla lingua, ho sempre amato in forma sconfinata – si porta dentro un sentimento che, pur stridendo con la realtà politica del tempo, spesso affiora dal fondo di un’antica memoria: la Grandeur.

Un impasto storico fantasticamente costruito sulla Reggia di Versailles, sul Re Sole, su Napoleone Bonaparte, sul Louvre. Si tratta di un sentimento cui, spesso con gradualità diverse, nessun presidente, da De Gaulle a Macron, è mai riuscito a sottrarsi.

Faccio qui un breve riferimento storico che qualche giornale in questi giorni ha riportato alla luce. Fu De Gaulle, all’inizio della costruzione dell’Europa, a respingere la proposta avanzata da De Gasperi sulla necessità, per il vecchio Continente, di dotarsi di un esercito europeo di difesa.

Lo statista trentino non era un guerrafondaio: aborriva la guerra e i suoi stilemi. Era un uomo mite ma prodigiosamente lungimirante. Certo, oggi, se nei primi anni Cinquanta quella proposta fosse stata accettata, l’Europa si troverebbe in condizioni migliori di quelle attuali.

Un secondo elemento che spinge Macron ad apparire protagonista è la necessità di recuperare consenso in un Paese in cui attualmente imperversa la destra di Marine Le Pen.

Il secondo motivo che brevemente mi accingo a trattare – quello che all’inizio ho definito spaventoso – riguarda alcuni eventi politici tedeschi. Da pochissimo tempo ho divorato un libro intitolato La peste (Feltrinelli), una preziosa indagine sul tema della destra in Germania, scritto dall’inviata di Repubblica a Berlino, Tonia Mastrobuoni.

Invito tutti a leggerlo, specialmente i giovani aperti ai valori della democrazia e dell’uguaglianza, e anche coloro che non vanno più a votare.

L’autrice afferma che in Germania si va diffondendo una peste che ancora non si coglie in tutta la sua terrificante dimensione: “idee vecchie, che sembravano sepolte dalla storia: razzismo, culto della purezza, antisemitismo, gerarchia biologica tra esseri umani”.

Un’ultima digressione. Ogni volta che nel mondo scoppia un caso di antisemitismo – negli ultimi tempi aumentati a dismisura – avverto una rabbia incontenibile. Accendendo la televisione mi ritrovo puntualmente il premier d’Israele inveire contro gli autori di questi misfatti e contro i Paesi in cui si registrano.

Non mi sfugge che l’antisemitismo sia una malattia antica, che si perde nella notte dei tempi. Ma l’aumento di questo tragico fenomeno nel mondo, negli ultimi tempi, è da attribuire in grandissima parte alla politica di Netanyahu, allo strazio di Gaza cui ho prima accennato.

Torniamo alla Germania. Alternative für Deutschland si è così profondamente insediata nel Paese da raggiungere, nelle ultime elezioni, il 12,6 per cento. Un evento che ha finito per radicalizzare una parte importante dell’estremismo neofascista.

Questa malattia, oltre a suscitare brividi, si accinge a penetrare in forma sotterranea dappertutto: in Europa, ma anche in America tra i seguaci di Trump. Quei saluti fascisti di Elon Musk e quella svastica scoperta sotto la bandiera europea conferiscono un senso di inquietudine al mondo intero. Una vera profanazione del Natale.

Agazio Loiero