Non sarà il turismo a salvare l’Italia: perché serve una strategia più ampia

Aeroporto di Malpensa

In Italia il turismo è spesso raccontato come la nostra miniera di oro, il settore capace da solo di trainare la crescita e garantire benessere diffuso. Politici e istituzioni amano ripetere che “vale il 18% del PIL”, che “dà lavoro a milioni di persone”, che “nessun altro paese al mondo può contare su un patrimonio simile”. Sono affermazioni suggestive, ma parziali.

Uno studio recente e una riflessione pubblica de LaVoce.info hanno smontato questa narrazione, dimostrando che, pur restando fondamentale, il turismo non potrà mai essere la leva principale per lo sviluppo italiano.

Il dato del “18% del PIL” nasce da un calcolo che somma non solo gli effetti diretti del settore (alberghi, ristoranti, agenzie di viaggio), ma anche catene indirette difficili da misurare. Se ci si limita al contributo effettivo, l’impatto del turismo sul prodotto interno lordo è molto più ridotto, seppure significativo.

L’occupazione collegata al turismo è cresciuta nel 2023: +5,8% nel settore “allargato” e +8,7% nelle attività più strettamente turistiche. Ma si tratta perlopiù di lavori stagionali, a bassa produttività e con salari inferiori alla media.

Un settore frammentato e vulnerabile

Il turismo italiano soffre di tre limiti strutturali:

  • Produttività bassa rispetto ad altri comparti economici;
  • Frammentazione: una miriade di microimprese, spesso senza risorse per innovare;
  • Vulnerabilità: la pandemia ha dimostrato quanto il settore possa crollare in pochi mesi, e lo stesso vale per crisi energetiche, tensioni internazionali o semplici variazioni nei flussi globali.

Investire solo sul turismo significa quindi esporsi a forti oscillazioni e a un modello economico incapace di garantire crescita stabile.

I nodi dell’overtourism e degli affitti brevi

La crescita dei flussi turistici nelle città d’arte genera fenomeni collaterali pesanti: affollamento, aumento dei prezzi, consumo eccessivo di spazi urbani. L’esplosione degli affitti brevi, regolati dal nuovo Codice Identificativo Nazionale (CIN), ha già inciso sul mercato immobiliare, riducendo la disponibilità di case per residenti e facendo crescere i canoni. Un problema che Roma, Firenze e Venezia conoscono bene.

Nessuno mette in dubbio che il turismo resti un asset strategico per l’Italia. Ma la sua funzione non è quella di “salvatore unico” dell’economia. Piuttosto deve essere un pilastro di un modello più equilibrato, che punti su:

  • Qualità invece che quantità, con attenzione ai segmenti alto-spendenti;
  • Sostenibilità per preservare il patrimonio culturale e ambientale;
  • Lavoro regolare e salari migliori, che restituiscano dignità a chi opera nel settore;
  • Digitalizzazione e formazione, per rendere più competitive le imprese.

L’Italia che cresce altrove

Se l’Italia vuole davvero crescere, deve affiancare al turismo settori ad alto valore aggiunto: manifattura avanzata, tecnologia, energie rinnovabili, servizi digitali, ricerca e università. È lì che si gioca la partita della produttività, dei salari e del futuro dei giovani.

Il turismo, insomma, può e deve fare la sua parte. Ma non può essere l’alibi per rinunciare a una vera politica industriale, né la favola rassicurante che basta riempire alberghi e ristoranti per salvarsi. L’Italia ha bisogno di molto di più.

Luca Falbo