Il sorteggio dei playoff Mondiali non concede mai tregua all’immaginazione. Né alla memoria. L’Italia lo sa bene: ogni volta che il destino mette sul tavolo l’Irlanda del Nord, gli azzurri sentono un brivido freddo lungo la schiena. E sarà proprio da lì che passerà la nostra speranza di rivedere una Coppa del Mondo dopo dodici anni di buio. Semifinale a Bergamo, il 26 marzo, contro una nazionale che non ha grandi nomi ma ha un peso storico enorme nelle nostre ansie calcistiche.
L’urna, va detto, è stata benevola. Poteva andare molto peggio, ma l’eventuale finale si giocherà comunque lontano dall’Italia. Cardiff o Zenica: due ambienti incandescenti, due piazze dove il margine d’errore è zero e dove chiunque può cadere, figuriamoci una Nazionale che negli ultimi anni ha trasformato ogni gara decisiva in un thriller non richiesto. Per questo definire il sorteggio “facile” è un ossimoro. Lo scenario è favorevole, certo. Ma lo è nella misura in cui l’Italia ritrovi un’identità, un coraggio e una determinazione che da troppo tempo appaiono intermittenti.
La prima avversaria è l’Irlanda del Nord, che evoca fantasmi che il calcio azzurro ha provato inutilmente a seppellire. Belfast 1958 resta un dolore scolpito nella storia: furono proprio gli irlandesi a impedire all’Italia di andare al Mondiale in Svezia. Molto più recente l’eco del novembre 2021, quando lo 0-0 del Windsor Park contribuì a spingerci nel baratro dei playoff, preludio alla disfatta con la Macedonia del Nord. È una squadra fisica, coriacea, che non si spaventa davanti a nessuno. Solo cinque giocatori militano in Premier League, ma la stella è Conor Bradley del Liverpool, reduce da una prestazione scintillante in Champions League contro il Real Madrid. È uno di quei profili che possono indirizzare una partita contro avversari tecnicamente superiori ma emotivamente fragili.
Gattuso, come suo solito, non si nasconde: «Dipende solo da noi», ha detto. Nessuna formula magica, nessuna scappatoia. Prima l’Irlanda, poi si vedrà. L’idea è semplice e brutale: vincere, mostrare solidità, affrontare l’eventuale finale con lo spirito di chi non ha più nulla da perdere.
L’altra semifinale del nostro percorso mette di fronte Galles e Bosnia. Due nazionali molto diverse, ma entrambe in grado di trasformare una serata qualunque in un incubo per chiunque giochi contro di loro.
Il Galles non è più la squadra epica della generazione di Gareth Bale, ma resta un gruppo ostinato, tecnicamente dignitoso e tatticamente robusto. Ha ancora il ricordo fresco della qualificazione al Mondiale 2022, raggiunto proprio a Cardiff battendo l’Ucraina in una partita ad alta tensione. Il c.t. Craig Bellamy, ex Liverpool e Manchester City, ha trasmesso aggressività e velocità nelle ripartenze. Il bomber delle qualificazioni è Harry Wilson del Fulham, mentre in Premier si contano una decina di elementi: i migliori sono Neco Williams del Forest e Brennan Johnson del Tottenham, eroe dell’ultima Europa League con il gol decisivo contro lo United. In caso di finale a Cardiff, l’Italia si troverebbe immersa in un’atmosfera rovente, difficilissima da gestire.
La Bosnia, dall’altra parte del tabellone, arriva al playoff con un percorso più travagliato. I fasti di Brasile 2014 sono lontani, ma la squadra guidata da Sergej Barbarez è in risalita. Il simbolo resta Edin Dzeko, 72 gol in Nazionale e una longevità atletica che confonde le leggi del tempo. L’atalantino Kolasinac, sebbene in recupero dopo il grave infortunio al crociato, rappresenta un riferimento difensivo. E poi c’è Demirovic dello Stoccarda, altro talento importante sulla via del recupero. Gli “italiani” non mancano: Muharemovic del Sassuolo, già osservato con interesse da più club, Hadzikadunic della Sampdoria e Tahirovic, cresciuto nella Roma e oggi all’Ajax. La Bosnia ha sfiorato la qualificazione diretta contro l’Austria, passando in vantaggio a Vienna prima di crollare solo nel finale. In casa, è squadra dura, a tratti ostile.
C’è una verità che tiene insieme tutto questo: se l’Italia non riesce a superare un playoff con Irlanda del Nord, Galles o Bosnia, il problema non è il sorteggio. Saremmo noi. I nostri limiti tecnici, i vuoti di personalità, le fragilità strutturali che ci accompagnano da anni. L’incubo di guardare un altro Mondiale dal divano non è un’esagerazione retorica: è uno scenario possibile. E sarebbe, più che mai, meritato.
Il 26 marzo inizierà tutto. Una partita, forse due. Un Mondiale intero appeso a un filo. Ma soprattutto dodici anni di assenza che gridano vendetta. Per una Nazionale che continua a inseguire se stessa.







