Querele temerarie, il governo dice no alla direttiva Ue. Ira del Pd: “Schiaffo alla libertà di stampa”

Senato della Repubblica

Il confronto sulla libertà di stampa si accende in Parlamento. Il governo ha respinto l’emendamento del Partito Democratico che avrebbe dovuto recepire la direttiva europea contro le querele temerarie, le azioni legali strumentali che puntano a intimidire i giornalisti e a ostacolare la partecipazione pubblica. Una norma attesa da anni e già approvata in diversi Paesi Ue, ma che in Italia continua a dividere.

Per la maggioranza, la proposta del Pd “era scritta male” e “in contrasto con la direttiva stessa”. Per le opposizioni, invece, è l’ennesimo segnale di un esecutivo deciso a mettere sotto pressione il mondo dell’informazione.

«È uno schiaffo di Nordio alla libertà di stampa», accusa il deputato dem Piero De Luca, ricordando che l’emendamento mirava soltanto a recepire le linee guida europee contro le cosiddette Slapp (Strategic Lawsuits Against Public Participation), le querele usate come arma di intimidazione.

Il Movimento 5 Stelle, con Federico Cafiero De Raho, rincara la dose: «Così il governo pone l’Italia in contrasto con la normativa europea. È un atto grave, che mina la credibilità internazionale del Paese».

La decisione è arrivata al termine di un vertice a Palazzo Chigi tra il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, ufficialmente convocato per discutere il piano carceri, ma in cui si è parlato anche del caso querele.

Nordio, secondo fonti ministeriali, avrebbe riconosciuto la necessità di intervenire, ma «con un testo proprio» che rispetti «l’equilibrio tra diritto di cronaca e tutela della reputazione». L’obiettivo è evitare che Bruxelles apra una procedura d’infrazione, ma anche non cedere all’opposizione su un tema politicamente sensibile.

Nel frattempo, il Pd annuncia battaglia. «Non si può rinviare all’infinito una norma che serve a difendere chi fa informazione in modo libero e onesto», dichiara la segretaria Elly Schlein, che promette un fronte “ampio e sociale” contro il tentativo di «ridurre al silenzio chi racconta i fatti scomodi».

Sul caso pesa anche la polemica nata dalle parole del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, che ha minacciato di denunciare Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, per averlo accusato di aver coinvolto i servizi segreti in un’indagine giornalistica. De Luca ha collegato le due vicende: «È grave che mentre si parla di libertà di stampa, un esponente del governo annunci querele contro un giornalista».

Dal centrodestra arriva la replica di Enrico Costa (Forza Italia): «L’emendamento del Pd non aveva nulla a che fare con Ranucci. Era un testo confuso e mal scritto, che non avrebbe garantito né i cronisti né i cittadini».

Il clima, insomma, resta rovente. Il tema delle Slapp — le querele pretestuose usate da politici, amministratori o imprenditori per bloccare inchieste giornalistiche — è diventato un campo di battaglia politico e simbolico.

L’Unione Europea, attraverso la direttiva 2024/1069, impone agli Stati membri di introdurre strumenti di tutela per i giornalisti colpiti da cause infondate. In Italia, però, la legge di recepimento non è ancora arrivata. E Bruxelles osserva con crescente preoccupazione.

Un alto funzionario europeo, citato da Politico.eu, ha commentato: «Se Roma non agirà in tempi rapidi, rischia di essere richiamata formalmente per violazione degli obblighi di trasposizione».

Dietro il rifiuto del governo si nasconde una strategia più ampia: non farsi dettare la linea dall’opposizione e presentare un testo “proprio”, politicamente spendibile come iniziativa del ministro Nordio. Una via per evitare di apparire ostili alla libertà di stampa, senza però concedere al Pd la paternità della riforma.

Ma i giornalisti non sembrano disposti ad aspettare. Le principali sigle del settore — dall’Fnsi all’Ordine dei giornalisti — hanno chiesto di calendarizzare al più presto la discussione. «Ogni mese di ritardo significa nuovi processi pretestuosi, nuove intimidazioni, nuove spese legali per chi fa il proprio lavoro», ha dichiarato il presidente dell’Ordine, Carlo Bartoli.

Sul fondo della vicenda si intreccia il confronto più ampio sulla riforma della giustizia e sul referendum promosso dalle opposizioni. Ieri i capigruppo del Pd, del M5S e di Avs hanno depositato in Cassazione le firme per le consultazioni popolari contro il disegno di legge del governo.

«Vogliono scegliere i giudici e controllare le toghe», accusa Elly Schlein, promettendo «una campagna capillare per difendere la Costituzione e la libertà di informazione».

Nordio, dal canto suo, ribatte che «la riforma serve anche alla sinistra» e che «il diritto di critica deve convivere con la responsabilità civile». Ma nel frattempo la frattura tra governo e opposizione appare sempre più profonda.

Il rischio, denunciano gli osservatori, è che l’Italia resti tra gli ultimi Paesi Ue senza una vera tutela per i cronisti. Ogni anno, secondo i dati di Ossigeno per l’Informazione, vengono intentate oltre seimila cause civili e penali contro giornalisti, spesso destinate a concludersi con un nulla di fatto ma capaci di paralizzare le redazioni.

Un’arma di pressione silenziosa, che può scoraggiare le inchieste più scomode e svuotare la libertà di stampa dall’interno.

E mentre il governo promette “una legge più equilibrata”, il mondo del giornalismo resta in attesa. Perché dietro la semantica dei testi e le tattiche parlamentari, la domanda resta la stessa: in Italia si può ancora scrivere tutto?