Signorini, parla l’avvocato Aiello: «Ricostruzione balorda». E su Medugno: «Abituato a proporsi in ogni forma pur di andare in tv, gli scriveva “Mi manchi”»

È una controffensiva studiata nei dettagli, dura, frontale, quella che la difesa di Alfonso Signorini ha messo in campo. E il perno, oggi, è uno solo: demolire la credibilità di Antonio Medugno. Lo dice chiaramente Domenico Aiello, l’avvocato calabrese che insieme alla collega Daniela Missaglia assiste il conduttore indagato dalla Procura di Milano per violenza sessuale ed estorsione, dopo la querela presentata proprio dal modello napoletano.

Aiello non usa mezze parole: «Siamo in grado di dimostrare che la ricostruzione fornita dal querelante è tanto balorda quanto l’autore della denuncia e coloro che penserebbero di trarne beneficio». E insiste su un punto che considera centrale: «Questo soggetto è aduso a proporsi in ogni forma pur di ottenere il successo in ambienti come quelli televisivi, ma è noto per averlo fatto in passato anche fuori dai contesti Mediaset».

Secondo la difesa, i messaggi privati sarebbero la chiave di volta. «Abbiamo tutte le chat», assicura il penalista, e tra queste ce ne sarebbero alcune in cui emerge un comportamento diametralmente opposto rispetto a quello descritto dal querelante. «Quando Signorini per tre o quattro mesi non lo chiamava, il querelante si faceva avanti scrivendo “mi manchi”», sostiene Aiello, aggiungendo che in altri momenti Medugno avrebbe ricevuto dall’allora manager Alessandro Piscopo «istruzioni su come sfruttare al massimo le opportunità che gli dava Signorini».

È un ribaltamento netto della narrazione: non vittima di pressioni, bensì aspirante personaggio televisivo che cerca visibilità e mantiene il contatto. Un quadro che l’avvocato definisce senza esitazioni «una ricostruzione opportunistica e diffamatoria».

Parallelamente, Aiello e Missaglia tengono il focus anche sull’altro fronte dell’inchiesta, quello relativo alla diffusione delle chat intime e dei materiali personali che coinvolgono Signorini. Qui la linea è altrettanto dura: «Chiunque le pubblichi è passibile del reato di ricettazione», avverte il legale, sottolineando come la diffusione illegale delle conversazioni private «causi un grave danno alla reputazione di Alfonso Signorini, amplificato a dismisura dal web».

Sul piano processuale, il conduttore del Grande Fratello – ora sospeso dalle attività editoriali in Mediaset – si dice «profondamente sereno» e «assolutamente fiducioso» di dimostrare «in ogni sede la totale estraneità» rispetto a quanto gli viene contestato. «Ci metteremo subito a disposizione della Procura», conferma Aiello, pronto a far interrogare il suo assistito dai magistrati milanesi Letizia Mannella e Alessandro Gobbis, gli stessi che indagano anche su Fabrizio Corona per la presunta diffusione di immagini e conversazioni private.

Intanto resta in piedi anche l’altro fronte giudiziario, quello su Corona e sui materiali diffusi pubblicamente. Una vicenda che continua a intrecciare televisione, giustizia, narrazione e potere. Ma oggi, al centro della scena, c’è soprattutto la linea della difesa: disarticolare l’impianto accusatorio puntando tutto su una parola chiave, che Aiello ripete con sicurezza. «Inattendibilità».

Il caso Signorini non è più solo un polverone televisivo. È diventato un terreno scivoloso su cui si incrociano giustizia penale, strategie mediatiche e interessi di un grande gruppo privato, Mediaset, controllato dagli eredi di Silvio Berlusconi. Sul tavolo ci sono accuse pesantissime – violenza sessuale ed estorsione – la querela di un ex concorrente del Grande Fratello, Antonio Medugno, la controffensiva giudiziaria del conduttore e, sullo sfondo, il ruolo di Fabrizio Corona, che rivendica di aver “aperto un vaso di Pandora” ricevendo, a suo dire, “più di cento testimonianze”.

Nel frattempo, la macchina si è messa in moto anche a Milano. Il sostituto procuratore Alessandro Gobbis e il procuratore aggiunto Letizia Mannella hanno iscritto Alfonso Signorini nel registro degli indagati, come atto dovuto dopo la querela di Medugno. Lo stesso pool di magistrati ha aperto un fascicolo parallelo su Fabrizio Corona, accusato di diffusione illecita di immagini a contenuto sessualmente esplicito e di conversazioni private del conduttore, materiale legato proprio ai rapporti tra il presentatore e il modello ventisettenne. Le perquisizioni a casa di Corona e negli uffici che producono il format Falsissimo hanno portato al sequestro di chat, selfie “a petto nudo” e contenuti definiti “intimi” dai pm, ora al vaglio degli inquirenti.

Tutto nasce dalla puntata del 15 dicembre di Falsissimo su YouTube, in cui Corona ha descritto quello che definisce il “sistema Signorini”: l’idea che, per entrare o restare nell’orbita del Grande Fratello, alcuni aspiranti concorrenti avrebbero dovuto sottostare a presunte avances o abusi del conduttore. In quella stessa puntata, Corona ha mandato in onda una telefonata con l’allora agente di Medugno, Alessandro Piscopo, che diceva di avere chat “dal contenuto erotico e sessuale” tra il modello e Signorini.

Il conduttore ha reagito con una denuncia per revenge porn, sostenendo di essere vittima, non autore, della violazione della propria privacy. Proprio questa iniziativa ha spinto la Procura a intervenire, a sequestrare il materiale e ad aprire un fascicolo per la diffusione illecita delle immagini. Parallelamente, però, Medugno ha presentato la sua querela per estorsione e violenza sessuale, che i magistrati milanesi non hanno archiviato in partenza, decidendo di aprire un’indagine a carico di Signorini.

Da qui in avanti, la storia smette di essere solo giudiziaria e diventa anche una questione di potere. Perché il passo successivo è la “autosospensione” del conduttore da ogni incarico editoriale a Mediaset. Una scelta annunciata attraverso una nota dei suoi avvocati, in cui si legge che Signorini “si vede costretto a sospendere in via cautelativa ogni suo impegno editoriale in corso con Mediaset”. Un’espressione che pesa: “si vede costretto” suggerisce la pressione, la necessità, non la decisione spontanea.

Mediaset, dal canto suo, ha fatto sapere di “accogliere” la scelta, spiegando in un comunicato che l’azienda “agirà con determinazione in tutte le sedi sulla base esclusiva di elementi oggettivi e fatti verificati” e ricordando di avere il dovere di tutelare “l’integrità delle proprie attività e dei prodotti editoriali, nonché la propria reputazione”. Una formula che segna una presa di distanza netta: si protegge il marchio, più che l’uomo. E che rende incerta la stessa partecipazione di Signorini alla prossima edizione del Grande Fratello 2026.

A cambiare radicalmente il quadro è anche il volto nuovo della difesa. Affiancati al primo legale, il penalista Andrea Righi – che aveva impostato la battaglia sul terreno esplosivo del revenge porn – ora ci sono due figure di primo piano: la civilista milanese Daniela Missaglia e il penalista Domenico Aiello. La prima è un nome molto noto, da anni protagonista nelle cause di famiglia e di grande esposizione mediatica: ha difeso, tra gli altri, Nina Moric nella tormentata separazione da Corona e ha rappresentato Chiara Ferragni in una fase delicata della sua vita privata. È socia di studio di Valeria De Vellis, avvocata che ha seguito il divorzio di Silvio Berlusconi da Veronica Lario. Una vicinanza, almeno per traiettorie professionali, che riporta il baricentro della vicenda dentro l’orbita della famiglia di Arcore.

Aiello, invece, porta con sé un pezzo di Calabria nel cuore di questa storia. Catanzarese, iscritto all’Ordine dal 1996 e patrocinante in Cassazione, è considerato uno dei penalisti più esposti del momento. Dopo aver lavorato per grandi studi internazionali come Clifford Chance e Dla Piper, ha fondato un proprio studio con sede a Milano. Si occupa di diritto penale dell’economia, reati contro la Pubblica Amministrazione, procedimenti complessi a forte impatto istituzionale. È stato tra i difensori di Roberto Maroni in uno dei processi legati a Expo 2015, concluso con l’assoluzione definitiva dell’ex presidente lombardo, e oggi assiste l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti nel filone bis del caso Garlasco, indagato per presunte condotte corruttive.

Proprio Aiello, insieme a Missaglia, ha messo a punto la nuova linea difensiva. Nelle sue dichiarazioni parla di “ricostruzione opportunistica e diffamatoria” e arriva a definire la versione del querelante “tanto balorda quanto l’autore della denuncia e coloro che penserebbero di trarne beneficio”. L’obiettivo, in questa fase, è uno: colpire l’attendibilità di Medugno. L’avvocato racconta che il modello sarebbe “aduso a proporsi in ogni forma pur di ottenere il successo in ambienti come quelli televisivi”, e sostiene di poterne dare prova “con tutti i messaggi che abbiamo a disposizione”.

Fra quei messaggi, la difesa segnala in particolare proprio quel “mi manchi” con sui Medugno chiedeva a Signorini nuovi contatti e nuove opportunità. In altre chat, secondo quanto riferito da Aiello, l’allora manager Alessandro Piscopo darebbe indicazioni su come “sfruttare al massimo le opportunità” che il conduttore poteva offrire. La strategia è chiara: non solo negare gli abusi, ma ribaltare la narrazione, presentando il querelante come un giovane disposto a tutto pur di rimanere in tv.