Per capire quanto sia profondo il radicamento dell’estrema destra a Rieti bisogna alzare lo sguardo. Dall’alto del Monte Giano, la pineta disegna ancora la scritta DUX. È lì dal 1939, scolpita dagli alberi voluti dal regime come tributo al Duce. Quando, nel 2017, un incendio devastò la montagna, duecento militanti di CasaPound marciarono fino in vetta per ripiantare mille pini austriaci. Non per amore dell’ambiente, ma per ricostruire l’omaggio a Mussolini.
È da qui che inizia il viaggio nella “Roccaforte di Rieti”, nome che sembra uscito da un romanzo di guerra e invece indica un’associazione nera nata meno di un anno fa. È a questa sigla che appartenevano Manuel Fortuna e Alessandro Barberini, due dei fermati per l’assalto omicida al bus dei tifosi del Pistoia. Il loro gruppo si muove tra i bar del centro e le strade secondarie della provincia, dove tra tatuaggi di stemmi delle SS, bandiere tricolori su fondo nero e inni fascio-rock, si coltiva una memoria che non ha mai smesso di farsi presente.
«È una CasaPound nostrana», spiega un consigliere comunale di opposizione. Stessi simboli, stessi rituali: raccolte alimentari “solo per gli italiani”, il saluto romano, la venerazione per Codreanu, l’ultranazionalista romeno che ispirò le Guardie di Ferro. A scandire le loro serate, la musica dei Bronson e degli ZetaZeroAlfa, tra birre, cori e tatuaggi di rune e teschi.
Sui profili social dei membri del gruppo scorrono volti del Duce, citazioni del Ventennio e il rifiuto del 25 aprile. Dietro la scenografia, però, c’è una rete più ampia. La Roccaforte, racconta Gabriele Bizzoca, consigliere comunale e provinciale di minoranza, «nasce come costola di “Area Rieti”, comunità militante identitaria e sovranista». Il leader è Felice Costini, medico, ex presidente provinciale di Alleanza Nazionale, ex assessore, oggi vice segretario del Movimento Indipendenza di Gianni Alemanno.
Costini è il collante della destra reatina, il punto d’incontro tra la nostalgia e la politica. Sui social si definisce “nazional rivoluzionario identitario antiglobalista sovranista”. Non ha mai rinnegato i legami con i giovani camerati. Anzi, li chiama “i miei ragazzi”. Dopo l’aggressione al bus, ha scritto un post amaro: «Non ci sono parole. Solo sgomento e rabbia per non essere riusciti a far comprendere quali siano le vere battaglie da combattere».
Rieti, città di 45 mila abitanti, è da sempre un laboratorio della destra radicale. «Gran parte dell’attuale classe dirigente locale — spiega Bizzoca — si è formata con Costini, compreso l’attuale sindaco Daniele Sinibaldi». Iscritto a Fratelli d’Italia, Sinibaldi ha preso il posto di un predecessore che lasciò il mandato gridando “Boia chi molla!”. Da vicesindaco, nel 2017, rilanciava sui social motti come “Marciare e non marcire” e dipingeva la “Isola dei morti”, il quadro simbolo del romanticismo nero che tanto piacque a Hitler.
Oggi, da primo cittadino, condanna con forza «l’atto criminale avvenuto domenica sera» e promette di “ricostruire un tessuto sociale che elimini ogni devianza”. Ma sotto al suo post, decine di commenti chiedono di prendere le distanze anche dal sottobosco neofascista. Perché in questa città, dove i cortei del 25 aprile si tengono in silenzio e le celebrazioni della Repubblica passano quasi inosservate, la memoria del Ventennio è rimasta una presenza quotidiana.
La Roccaforte non ha una sede ufficiale. Si riunisce tra palestre, circoli e bar dove appaiono simboli runici e adesivi con l’aquila romana. Gli incontri si muovono tra discussioni politiche, eventi musicali e serate “culturali” che omaggiano scrittori del neofascismo. Barberini, uno degli arrestati, frequentava spesso questi ambienti: il sole nero tatuato sul petto, come un marchio di appartenenza, lo identificava nei raduni e nei video online.
Costini, nel frattempo, continua la sua attività politica. Durante il Pride di settembre ha firmato uno striscione per il leader trumpista Charlie Kirk: “Avete ucciso un padre, avete creato una bandiera”. Nel 2018 cercò di portare a Rieti Luigi Ciavardini, ex Nar condannato per la strage di Bologna, per una conferenza “sulla verità negata”. L’iniziativa non si fece, ma l’intento resta eloquente.
La rete di contatti ruota attorno a una galassia di locali, associazioni e piccole imprese. Tra questi, il Fosso di Helm, un circolo ispirato al nome di una battaglia del Signore degli Anelli, trasformato in trincea identitaria per concerti e incontri di estrema destra. «Rieti è sempre stata una città di ultradestra», commentano da Alleanza Verdi-Sinistra. «L’elezione del sindaco di sinistra Simone Petrangeli nel 2012 fu un’eccezione, non una svolta». Eppure, nonostante la presenza di simboli e nostalgie, un agguato come quello al bus del Pistoia non s’era mai visto. Un atto che segna il punto di contatto tra la rabbia e la violenza, tra il mito della militanza e la brutalità di un pestaggio.
Sulla strada che conduce a Rieti, i cartelli turistici indicano ancora il Terminillo, la montagna “del Duce”. Lì, tra i pini che disegnano il suo nome, la storia sembra non essere mai davvero finita. Solo sospesa, come una canzone fascio-rock che qualcuno continua a suonare, convinto che il passato possa ancora tornare di moda.







