Alle 20.25 locali, 19.25 in Italia, la voce secca della Marina israeliana è arrivata via radio: «Alt, fermatevi». Da quel momento la navigazione della Flotilla diretta a Gaza si è trasformata in un confronto diretto. Il buio del Mediterraneo si è acceso di fari, sirene e rumori di motori. A 75 miglia dalla Striscia, la missione umanitaria è stata intercettata da un imponente schieramento di forze israeliane.
Gli attivisti hanno dichiarato immediatamente lo stato di emergenza: tutti sui ponti, giubbotti di salvataggio indossati, telecamere e telefoni pronti a documentare. «Sono a bordo, sono a bordo», è stato l’ultimo messaggio lanciato dalla nave madre Alma, prima che le comunicazioni si interrompessero e l’imbarcazione risultasse offline. Poco dopo è calato un silenzio digitale che ha amplificato la tensione.
Secondo le testimonianze rilanciate in tempo reale, almeno venti navi e cinque gommoni veloci della Marina israeliana hanno stretto le imbarcazioni della Flotilla in una manovra a tenaglia. Paolo Romano, consigliere regionale lombardo del Partito Democratico a bordo della Karma, ha raccontato all’Adnkronos: «Vediamo le luci che si avvicinano, sono manovre chiaramente da abbordaggio. Questa operazione è illegale: siamo in acque internazionali, il blocco navale è un atto di pirateria. Ma siamo dalla parte giusta dell’umanità».
Dai social sono arrivate le prime immagini: uomini e donne disposti in fila sui ponti, seduti a terra o in piedi con le mani alzate, mentre le luci delle motovedette colpivano le sagome delle barche. In sottofondo si distinguono ordini gridati in ebraico e il rombo dei motori che si avvicinano sempre di più. Un clima da assedio in piena notte.
Gli attivisti raccontano che il primo segnale è stato l’accendersi dei radar, poi le sirene, infine l’arrivo ravvicinato delle unità militari. «Ci aspettavamo un controllo, ma non una dimostrazione di forza così sproporzionata», scrive uno di loro prima che la connessione saltasse. «Trasportiamo aiuti umanitari e ci trattano come una minaccia armata».
La dinamica è stata fulminea: nel giro di pochi minuti le navi israeliane hanno circondato il gruppo e i gommoni hanno cominciato a puntare le imbarcazioni minori. Le voci via radio si sono fatte sempre più concitate, fino a interrompersi del tutto quando la Alma è stata isolata. Da quel momento, le uniche informazioni filtrano dalle barche laterali.
Secondo fonti parlamentari, da Cipro si sarebbero levati in volo caccia britannici per monitorare la scena dall’alto. Una mossa che conferma la rilevanza internazionale dell’episodio e la preoccupazione diplomatica attorno all’intervento. Londra non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali, ma la notizia del decollo ha rafforzato l’idea che la notte davanti a Gaza fosse tutt’altro che un’operazione di routine.
Il linguaggio degli attivisti è netto: «Abbiamo a che fare con un abbordaggio illegale. Israele agisce fuori dal diritto internazionale. Noi siamo civili, in acque internazionali, e documenteremo tutto fino all’ultimo». Una dichiarazione di intenti che si accompagna alla consapevolezza di avere le ore contate prima che telefoni e dispositivi vengano sequestrati.
Il momento più teso è stato quello dell’avvicinamento dei gommoni. «Li vediamo, sono a pochi metri. Stanno urlando ordini. Ci chiedono di fermare i motori», ha riferito un volontario via social prima di sparire. Gli altri raccontano di urla concitate, uomini armati pronti a salire a bordo, e un silenzio improvviso interrotto soltanto dagli applausi ironici di alcuni attivisti che volevano mostrare resistenza nonviolenta.
Le immagini diffuse sui canali indipendenti mostrano una scena quasi surreale: il mare notturno illuminato a giorno dai fari, figure con i giubbotti di salvataggio sedute ordinatamente sui ponti, e dietro di loro le ombre dei militari pronti all’abbordaggio. «È una situazione irreale», ha spiegato ancora Romano. «Stiamo vivendo un assedio in mezzo al mare. Ma non arretriamo».
Per molti osservatori internazionali questa notte potrebbe diventare un punto di svolta: la Flotilla è stata intercettata in acque internazionali, e l’accusa di “pirateria” lanciata dagli attivisti rimbalza già sulle principali agenzie. Israele difende la legittimità del blocco come misura di sicurezza, ma l’uso di un tale dispiegamento di forze contro imbarcazioni civili alimenta polemiche e richieste di chiarimento.
Al momento non si hanno notizie precise sulla sorte della Alma, isolata e resa irraggiungibile. Le altre barche tentano di mantenere i collegamenti, ma le comunicazioni vengono disturbate e i messaggi arrivano a singhiozzo. «Ci stanno abbordando», è stato l’ultimo alert diffuso, prima che anche altri canali social smettessero di trasmettere.
È il segnale che l’operazione è entrata nella fase finale: l’irruzione a bordo. Un’azione preparata nei minimi dettagli, che si consuma sotto gli occhi invisibili dei radar e con milioni di persone collegate in rete a seguire ogni brandello di informazione. «Siamo qui per portare aiuti – avevano detto alla vigilia – ma stanotte la nostra priorità è resistere senza violenza».
Il Mediterraneo, ancora una volta, diventa il palcoscenico di uno scontro asimmetrico: da un lato barche civili con attivisti, dall’altro il potere militare di uno Stato. L’abbordaggio è cominciato, e gli echi di quella voce disperata – «sono a bordo, sono a bordo» – restano come unico filo diretto con chi, in questo momento, sta vivendo un’operazione che rischia di segnare non solo la missione, ma anche il dibattito internazionale sulle rotte verso Gaza.