Quello che è successo questa notte a Sigfrido Ranucci non è un episodio isolato. È il culmine di mesi di attacchi, pressioni e censura che ci riportano a una delle pagine più buie del nostro Paese. Un ordigno sotto la sua auto, esploso davanti casa, nel silenzio della notte. Poteva essere una strage. Non lo è stata, per puro caso. E questa volta non possiamo girarci dall’altra parte.
Da mesi, Ranucci e la redazione di Report vivono sotto assedio. Puntate tagliate, inchieste censurate, controlli e accuse infondate. Più recentemente, la Rai aveva deciso di estrometterlo dalla firma dei contratti, delle trasferte, delle questioni legali e penali. Un modo elegante per dire: ti lasciamo andare in onda, ma senza potere, senza libertà, senza voce.
Attenzione: non si vuole in alcun modo collegare direttamente i due fatti, ma è innegabile che attorno al giornalista si sia creato un clima di delegittimazione che non fa bene a lui, non fa bene al giornalismo e non fa bene al Paese.
E ora, dopo tutto questo, arriva una bomba. Letteralmente. Ranucci non è solo un giornalista. È una voce libera, una delle poche rimaste a raccontare le verità scomode di questo Paese: la corruzione, le mafie, gli intrecci oscuri tra potere e denaro. Per questo vive sotto scorta, per questo riceve minacce, per questo cercano di farlo tacere. Ma non ci sono bombe abbastanza forti da mettere a tacere la verità.
Questo attentato non colpisce solo lui: colpisce ognuno di noi, cittadini che hanno ancora il diritto di sapere, di essere informati, di non vivere nella menzogna. Quando si attacca un giornalista, si prova a spegnere una luce. E senza quella luce, la democrazia diventa buia, fragile, manipolabile.
Oggi non servono solo parole di solidarietà — servono fatti, protezione, riconoscenza. Perché chi rischia la vita per raccontare la verità non dovrebbe mai essere lasciato solo. Sigfrido Ranucci ha avuto il coraggio di guardare dove molti hanno scelto di chiudere gli occhi. E stanotte, nel boato di quella esplosione, abbiamo sentito tutto il rumore del silenzio di un Paese che troppo spesso dimentica quanto costa la libertà di stampa.
Difendere giornalisti come Ranucci significa difendere il diritto stesso di essere cittadini informati. Significa proteggere il giornalismo d’inchiesta, che resta uno degli ultimi baluardi di verità in un mondo sempre più dominato dalla propaganda e dal silenzio. Non lasciamo che vincano la paura e la rassegnazione. Perché ogni volta che provano a zittire una voce libera, tocca a noi parlare più forte.
di Luca Falbo