Un lungo scontro istituzionale, settimane di tensione in mare, un processo durato oltre tre anni e, infine, un’assoluzione. La vicenda che ha coinvolto il leader della Lega, Matteo Salvini, ruota intorno ai fatti dell’agosto 2019, quando – nella veste di ministro dell’Interno – negò per giorni lo sbarco a 147 migranti soccorsi nel Mediterraneo dalla nave della Ong spagnola Open Arms. Un episodio che ha acceso uno dei casi giudiziari più discussi degli ultimi anni, con implicazioni politiche, giuridiche e umanitarie.
Tutto comincia il primo agosto 2019, quando la Open Arms soccorre 124 migranti in acque Sar libiche e chiede l’assegnazione di un porto sicuro all’Italia e a Malta. La risposta del Viminale, guidato da Salvini e sostenuto dagli alleati del Movimento 5 Stelle, è il divieto di ingresso nelle acque italiane. Pochi giorni dopo, il 9 agosto, l’equipaggio effettua un nuovo salvataggio, recuperando altre 39 persone da un’imbarcazione in avaria. La nave resta ferma a largo, senza autorizzazione allo sbarco.
La situazione a bordo si complica. Gli avvocati della Ong si rivolgono al tribunale dei minori per ottenere lo sbarco dei ragazzi non accompagnati. Il 12 agosto il tribunale di Palermo accoglie la richiesta, e il Tar del Lazio sospende il divieto imposto dal Viminale. Ma il governo non cambia linea, e la Open Arms, il 14 agosto, presenta un esposto alla procura di Agrigento, lamentando la mancata esecuzione della decisione del giudice amministrativo. A bordo si vivono giorni drammatici: i migranti sono allo stremo, alcuni si gettano in mare nel tentativo di raggiungere a nuoto la costa di Lampedusa.
Il 20 agosto, il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio sale sulla nave per verificarne le condizioni. Dopo aver riscontrato una situazione “esplosiva”, dispone il sequestro dell’imbarcazione e l’immediato sbarco dei migranti. L’indagine prende ufficialmente avvio e porta, il 19 novembre, all’iscrizione di Salvini nel registro degli indagati con l’accusa di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio, in concorso con il capo di gabinetto Matteo Piantedosi. Le carte passano alla procura di Palermo, competente per i reati ministeriali, che decide di imputare Salvini e archiviare per Piantedosi.
Il 1° febbraio 2020, il Senato concede l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini. È un passaggio decisivo, che segna la differenza rispetto al caso precedente della nave Diciotti, per cui l’aula aveva votato contro l’autorizzazione. Il 17 aprile 2021, il gup Lorenzo Jannelli dispone il rinvio a giudizio. Il processo si apre il 15 settembre dello stesso anno. Tra i testimoni, nomi di primo piano della politica: l’allora premier Giuseppe Conte, l’ex ministro degli Esteri Luigi Di Maio e l’attuale ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
Dopo oltre tre anni di dibattimento, il 14 settembre 2024 la Procura di Palermo chiede sei anni di carcere per Salvini, accusandolo di aver agito con “intenzionale e consapevole spregio delle regole” e di aver violato “la libertà personale di 147 persone”. Ma pochi mesi dopo, il 20 dicembre 2024, arriva la sentenza: il tribunale di Palermo assolve Salvini da ogni accusa.
La vicenda, però, non si chiude qui. Nel luglio 2025, la Procura di Palermo presenta un ricorso per saltum direttamente alla Corte di Cassazione, impugnando l’assoluzione e riaprendo così una pagina che sembrava archiviata. Un nuovo capitolo che potrebbe riportare al centro del dibattito politico e giudiziario uno dei casi simbolo della gestione dei flussi migratori in Italia.