Immaginare Fabrizio Corona che tira in ballo Donald Trump, la Casa Bianca, Marina e Pier Silvio Berlusconi, Maria De Filippi, Gerry Scotti e Alfonso Signorini nella stessa narrazione può sembrare il copione eccessivo di una fiction televisiva. E invece è esattamente ciò che è accaduto nell’ultima puntata di Gurulandia, il podcast in cui l’imprenditore torna al centro della scena mediatica con un racconto che mescola vicende giudiziarie, televisione, potere e retorica personale. Un racconto lungo, articolato e destinato, inevitabilmente, a far discutere.
Il punto di partenza è ancora il caso Signorini, già al centro delle scorse settimane. Corona sostiene che il silenzio di Mediaset e della famiglia Berlusconi non sarebbe casuale. Secondo lui, il conduttore conoscerebbe “segreti importantissimi” sull’azienda e su chi la guida, motivo per cui attorno alla vicenda si sarebbe formato un muro di prudenza e di non detti. Nessuna prova concreta sul tavolo, nessun documento mostrato, ma l’idea insistita di un sistema di potere complesso, nel quale il rumore mediatico e il silenzio sarebbero entrambi parte della stessa partita.
Da qui si passa a una riflessione che tocca il tema delle presunte vittime e dei presunti compromessi di chi sogna una carriera televisiva. Corona distingue fra piano morale e piano penale. Secondo lui, molti ragazzi accetterebbero consapevolmente situazioni di scambio per ottenere opportunità professionali, mentre la soglia cambia – afferma – quando si entra nel campo dell’imposizione e del ricatto, dove il Codice penale parla chiaro e, in presenza di prove, i reati possono essere perseguiti. È una visione dura, spigolosa, che inevitabilmente divide: da un lato c’è chi vi legge una denuncia del sistema, dall’altro chi vede l’ennesima costruzione narrativa destinata a colpire l’opinione pubblica.
A un certo punto entra in scena anche Maria De Filippi. Corona annuncia che preparerà una puntata dedicata interamente a lei e ai suoi programmi, ponendo l’accento sul pubblico che li segue e sui meccanismi che, a suo dire, regolano talent, format e carriere. Non fornisce dettagli, non anticipa contenuti precisi, ma pronuncia il nome più forte della televisione italiana e lo posiziona al centro della sua prossima mossa comunicativa. È una strategia ormai chiara: individuare un bersaglio simbolico, annunciare rivelazioni future, alimentare attesa e curiosità.
E Gerry Scotti? Anche lui sarebbe coinvolto in un non meglio identificato “sistema” Signorini. Corona non ha aggiunto altro e non ha rivelato se più avanti farà anche una puntata del suo Falsissimo incentrata sul conduttore de La ruota della fortuna ma ha lanciato una pesantissima accusa che ovviamente è tutta da confermare e va presa con le pinze:“Le Letterine di PassaParola se l’è passate tutte quando dico tutte dico tutte.”
Poi arriva il salto più clamoroso, quello internazionale. Corona racconta di essersi trovato in Procura a Milano quando avrebbe ricevuto un contatto legato a Paolo Zampolli, figura vicina a Donald Trump. Racconta di un presunto interesse della Casa Bianca, di un invito negli Stati Uniti, di un dialogo con la magistratura interrotto da una “telefonata di Washington” e di un rapporto privilegiato con Melania Trump. Anche qui il copione è cinematografico, i dettagli suggestivi, la credibilità materia di discussione pubblica. Nessuna conferma ufficiale, nessun documento: tutto resta dentro il perimetro del racconto del protagonista.
Nel frattempo, il contesto italiano resta quello di sempre: un sistema televisivo che vive di potere, audience, immagine e narrazioni parallele. Ci sono vicende giudiziarie che seguono il loro corso, ci sono posizioni ufficiali che restano prudenti, ci sono nomi pesanti – Signorini, Berlusconi, De Filippi – che diventano oggetto di discorsi, insinuazioni, accuse e analisi. E c’è un protagonista, Fabrizio Corona, che continua a presentarsi come figura scomoda, accusatore, detonatore di tensioni, ma anche come narratore di se stesso.
Il suo racconto funziona perché tocca corde sensibili: la fascinazione per il potere, la curiosità per i retroscena, il desiderio di smascheramento, la tentazione di credere alle storie che promettono di mostrare ciò che normalmente resta dietro le quinte. Funziona perché alterna cronaca e spettacolo, realtà e suggestione, fatti e dichiarazioni personali. Funziona perché in un sistema mediatico che vive di esposizione, chi riesce a tenere il centro della scena ha già vinto metà della partita.
Resta però lo spazio dei fatti, della verifica, delle responsabilità individuali e collettive. Resta il confine delicato fra denuncia e costruzione di immaginari. Resta la necessità, tutta giornalistica, di distinguere ciò che è accertato da ciò che è soltanto raccontato. Intanto la storia continua ad allargarsi, chiama in causa nuovi protagonisti, attraversa confini reali e simbolici, mette insieme Milano, Roma e Washington. E, soprattutto, continua ad alimentare una narrazione nella quale televisione, politica, giustizia e comunicazione non smettono mai di sovrapporsi.







