La villa di Brentwood, uno dei quartieri più protetti e costosi di Los Angeles, è diventata improvvisamente una scena del crimine. Dietro cancelli sorvegliati, strade silenziose e siepi curate, nella notte tra domenica e lunedì sono stati trovati i corpi senza vita del regista Rob Reiner, 78 anni, e della moglie Michele Singer, 68. Entrambi presentavano ferite da arma da taglio. Accoltellati. Più colpi, secondo le prime indiscrezioni. Un omicidio violento, consumato tra le mura di una casa che fino a poche ore prima rappresentava l’immagine stessa della sicurezza e del privilegio hollywoodiano.
L’allarme è scattato intorno alle 15.30 ora locale. Una chiamata ai servizi di emergenza, i primi agenti sul posto, poi l’arrivo della scientifica e il rapido isolamento dell’area. La notizia, inizialmente tenuta sotto traccia, ha cominciato a circolare solo diverse ore dopo, quando la polizia di Los Angeles ha diffuso un primo comunicato stringato: «I cadaveri di un uomo e di una donna sono stati scoperti all’interno dell’abitazione di Rob Reiner e della moglie Michele Singer». Nessun dettaglio, se non la conferma che si trattava della coppia e che erano in corso accertamenti per ricostruire la dinamica della morte.
I rilievi effettuati all’interno della villa hanno però subito fatto emergere elementi inquietanti. Non ci sarebbero segni di effrazione. Porte chiuse, finestre integre, nessuna traccia evidente di un’irruzione dall’esterno. Le stanze non risultavano rovistate, nessun oggetto di valore apparentemente sottratto. Un dettaglio che allontana l’ipotesi di una rapina finita male e rafforza quella di un delitto maturato in un contesto domestico o comunque ad opera di qualcuno che aveva libero accesso all’abitazione. Un copione classico della grande cronaca nera americana, dove la violenza esplode nel luogo che dovrebbe essere il più protetto.
Sui corpi di Reiner e Singer sono state riscontrate ferite compatibili con coltellate. Gli inquirenti non hanno ancora chiarito il numero dei colpi né stabilito con precisione l’orario della morte, ma non escludono che l’aggressione sia avvenuta diverse ore prima del ritrovamento. L’autopsia dovrà stabilire se vi siano stati segni di colluttazione, se uno dei due abbia tentato di difendersi, se la dinamica sia stata rapida o prolungata. Domande che per ora restano senza risposta.
Nel corso delle ore successive è emerso che il figlio della coppia, Nick Reiner, 32 anni, è stato interrogato dalla polizia. Un passaggio che ha immediatamente attirato l’attenzione dei media americani, alimentando speculazioni e titoli sensazionalistici. A chiarire la posizione degli investigatori è stato però il vice capo del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, Alan Hamilton, intervenuto in conferenza stampa: «Molti familiari saranno interrogati, ma nessuno è stato fermato. Nessuno è stato interrogato in qualità di sospettato». Una precisazione netta, che serve a raffreddare il clima ma che non dissolve l’alone di mistero attorno alla vicenda.
Rob Reiner non era un nome qualunque. Era una colonna del cinema americano, uno di quei registi capaci di attraversare generi diversi lasciando un segno profondo. Tra gli anni Ottanta e Novanta ha firmato alcune delle pellicole più iconiche di Hollywood: Stand by Me – Ricordo di un’estate, Harry ti presento Sally…, La storia fantastica, Codice d’onore, This Is Spinal Tap. Ma soprattutto Misery non deve morire, thriller claustrofobico che racconta l’orrore domestico, la prigionia, la violenza improvvisa che irrompe in uno spazio chiuso e apparentemente sicuro. Un titolo che oggi risuona con un’ironia tragica e disturbante.
Figlio di Carl Reiner, attore e produttore leggendario morto cinque anni fa, Rob Reiner era stato anche uno dei fondatori della Castle Rock Entertainment, la casa di produzione che ha dato vita a film come Le ali della libertà e Michael Clayton. Un imprenditore culturale oltre che un autore, capace di influenzare profondamente il linguaggio cinematografico americano. Negli ultimi anni si era distinto anche per il suo impegno politico: progressista dichiarato, critico durissimo di Donald Trump, era una voce ascoltata e spesso polarizzante all’interno della comunità di Hollywood.
Anche questo elemento viene ora valutato dagli investigatori, che non escludono nulla. Dalla pista personale a quella professionale, fino a eventuali moventi esterni. In casi di omicidio così violento e apparentemente privo di segni di scasso, ogni dettaglio diventa cruciale: le ultime telefonate, gli appuntamenti, le visite ricevute, i rapporti recenti della coppia. Le telecamere di sicurezza della zona sono al vaglio, così come i tabulati telefonici e i movimenti bancari.
Hollywood, intanto, è sotto shock. Brentwood non è un quartiere qualsiasi: è un simbolo di ricchezza, controllo, distanza dalla violenza urbana. Che proprio lì, in una villa blindata, due persone vengano accoltellate a morte riapre una ferita antica nell’immaginario americano: quella dell’illusione di sicurezza. La stessa che Reiner aveva raccontato nei suoi film più cupi, dove il male non arriva da fuori ma nasce dentro casa.
Per ora, la polizia invita alla prudenza. Nessun sospettato, nessun fermo, molte domande aperte. Ma una certezza c’è già: la morte di Rob Reiner e Michele Singer non è un fatto privato, è un caso destinato a segnare l’anno giudiziario e mediatico di Los Angeles. E a ricordare che, anche nei luoghi più dorati, la cronaca nera può entrare senza bussare.







