Giovanni Brusca, l’ex boss mafioso responsabile di oltre 100 omicidi, tra cui quello del giudice Giovanni Falcone, ha terminato la libertà vigilata ed è ufficialmente un uomo libero. Una notizia che scuote la coscienza civile di un’Italia che, mentre celebra la legalità, vede camminare per strada uno dei simboli del male che l’ha ripetutamente oltraggiata.
Un assassino che non è più sotto sorveglianza dello Stato: la libertà vigilata, durata cinque anni, è terminata. Oggi, tecnicamente, Brusca è un uomo libero. Ma per l’Italia intera – quella che commemora ogni anno Capaci, quella che puntualmente inonda le piazze per dire “No alla mafia” – è una notizia che brucia insopportabilmente. E che non si riesce proprio a digerire.
Un uomo che si è macchiato di delitti disumani
Brusca non è un nome qualunque. È colui che premette il pulsante del telecomando che fece saltare in aria Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta. È l’uomo che confessò la bestiale uccisione e lo scioglimento nell’acido del piccolo Giuseppe Di Matteo, colpevole solo di essere figlio di un pentito. È stato definito il “macellaio di Cosa Nostra”. Oggi, il macellaio è fuori.
Collaboratore di giustizia o calcolatore di libertà?
La scarcerazione di Brusca nel 2021, dopo 25 anni di reclusione, era già stata accolta da un’ondata di indignazione. La legge, si disse allora, aveva fatto il suo corso: era un collaboratore di giustizia e la giustizia – quella con la “G” maiuscola – premia chi collabora. Ma oggi, mentre il suo nome scompare dai registri della sorveglianza, torna a risuonareuna domanda irrisolta: può davvero esistere “redenzione” per chi ha causato così tanto dolore? Soprattutto, può camminare tra noi, come se nulla fosse, chi ha spezzato esistenze e ha marchiato per sempre la storia di un Paese?
La memoria non si archivia: la rabbia civile si riaccende
Ogni 23 maggio, l’Italia china il capo davanti al ricordo di Giovanni Falcone. Ma il rispetto per la memoria non può fermarsi alle celebrazioni simboliche. Deve vivere nelle scelte, nella coerenza delle istituzioni, nella capacità dello Stato di non lasciare che la legalità si trasformi in una procedura arida, dove le vittime sembrano svanire sotto il peso del tempo e delle scadenze burocratiche. La notizia della fine della vigilanza su Brusca fa male. Perché sa tremendamente di ingiustizia, sa di memoria tradita. E ci ricorda che, per ogni pentito reintegrato, ci sono famiglie che ancora aspettano giustizia piena.