L’immagine di Chiara Ferragni seduta al banco degli imputati non appartiene ai consueti scenari mediatici che l’hanno accompagnata fino a un anno fa, ma è in quell’aula che oggi la Procura di Milano ha depositato la sua richiesta: un anno e otto mesi di reclusione. È la pena proposta dal pm Christian Barilli e dall’aggiunto Eugenio Fusco nell’ambito del processo che vede l’imprenditrice digitale accusata di truffa aggravata per le operazioni commerciali legate al pandoro Balocco Pink Christmas e alle uova di Pasqua griffate, promosse come iniziative solidali. Un passaggio delicato che segna il giro di boa del procedimento e che spinge inevitabilmente la difesa verso la fase decisiva.
L’influencer si è presentata in aula con largo anticipo rispetto all’orario stabilito, senza scorta mediatica, entrando da una porta laterale per evitare fotografi e telecamere. Chi le sta vicino parla di una persona tesa ma lucida, ferma nella convinzione di non aver violato la legge. Prima dell’apertura formale dell’udienza, Ferragni ha chiesto di poter rendere dichiarazioni spontanee e, rivolgendosi ai giudici, ha insistito sull’assoluta correttezza delle sue scelte: «Abbiamo sempre agito in totale buona fede, nessuno ha tratto profitto personale da iniziative benefiche». Parole pacate, pronunciate con la voce ferma, che rappresentano la linea difensiva sin dal primo giorno.
Oggi l’aula era a porte chiuse. Il giudice Ilio Mannucci Pacini ha ascoltato la requisitoria accusatoria e affrontato le questioni preliminari relative alla costituzione delle parti civili. Gli avvocati di Ferragni, Giuseppe Iannaccone e Marcello Bana, hanno ribadito la richiesta di giudizio abbreviato, mentre è stata ammessa la presenza di una associazione di consumatori nel ruolo di parte civile.
Secondo la ricostruzione accusatoria, le campagne promosse nel Natale 2022 e nelle Pasque 2021 e 2022 avrebbero presentato, nell’immaginario degli acquirenti, un meccanismo di raccolta solidale legato direttamente all’acquisto dei prodotti, inducendo i consumatori a ritenere che parte del prezzo maggiorato dei dolci griffati sarebbe stato destinato all’ospedale Regina Margherita di Torino. Per la Procura, invece, il contributo da 50mila euro era stato concordato da Balocco a monte, a prescindere dalle vendite, mentre le società riconducibili alla Ferragni avrebbero ricevuto oltre un milione di euro per la campagna pubblicitaria, oltre a vantaggi reputazionali significativi.
La difesa, dal canto suo, respinge la ricostruzione accusatoria e sostiene che l’equivoco sia nato da un difetto di comunicazione, in assenza di qualunque intento truffaldino. Una versione appoggiata dai legali dell’imprenditrice, che sottolineano come la donazione sia stata effettuata, e come nessun documento interno dimostri che la parte Ferragni fosse consapevole della diversa natura dell’accordo. La linea difensiva insiste inoltre su un elemento ulteriore: la donazione personale di un milione di euro effettuata successivamente dall’influencer, nel pieno della tempesta mediatica, come gesto di responsabilità.
Il processo, che mette a confronto due ricostruzioni opposte, ha anche un peso simbolico importante: per la prima volta una figura centrale della cultura digitale italiana viene giudicata non solo per l’efficacia del suo marchio, ma per la correttezza della sua comunicazione commerciale. In questo contesto, l’immagine pubblica diventa un fattore decisivo tanto quanto gli atti depositati.
Ora si attende il 19 dicembre, quando sarà la difesa a parlare. L’arringa tenterà di smontare punto per punto la ricostruzione del pm. Il verdetto dovrebbe arrivare tra gennaio e febbraio 2026, salvo rinvii. Fino ad allora, Ferragni rimarrà nel ruolo più difficile: quello di imputata che attende un giudizio.
Al termine dell’udienza nessun commento, nessuna frase di circostanza. Solo un saluto rapido e silenzioso ai suoi avvocati. Per lei, che ha costruito la propria immagine sull’esposizione, la parte più complicata è forse proprio questa: aspettare, senza parlare, finché sarà il tribunale a decidere.







