“Quello che è successo oggi mi offende come uomo e come magistrato”. È la frase con cui Mario Venditti, ex procuratore aggiunto di Pavia, ha scelto di difendersi a Quarto Grado dalle accuse che lo vedono ora indagato per corruzione in atti giudiziari. Dal fascicolo sul delitto di Chiara Poggi, la giovane uccisa a Garlasco nel 2007, al ruolo di presidente del Casinò di Campione d’Italia, la parabola del magistrato settantaduenne si intreccia con uno dei casi giudiziari più discussi degli ultimi vent’anni.
Venditti aveva lasciato la toga il 9 luglio 2023 dopo una lunga carriera che lo aveva visto impegnato anche in delicate inchieste di mafia e antimafia. Sei giorni dopo, il 15 luglio, aveva assunto la presidenza del Casinò di Campione, simbolo della rinascita della casa da gioco chiusa per fallimento e poi riaperta tra mille polemiche. Ma oggi al centro delle cronache non c’è la sua attività manageriale, bensì la vecchia indagine di Garlasco e le due archiviazioni, nel 2017 e nel 2020, a favore di Andrea Sempio, l’amico di Chiara tornato sotto inchiesta come unico indagato.
Il nome di Venditti ricompare in un blocco note sequestrato a casa dei Sempio durante le perquisizioni di maggio: sul foglio, parole e cifre – “gip archivia 20-30” – che per la procura di Brescia potrebbero alludere a un pagamento in denaro. Un’ipotesi pesante, legata alle conversazioni intercettate anni fa tra i genitori di Andrea, Giuseppe e Daniela, nelle quali si parlava di assegni e somme di denaro “non tracciabili”.
La prima archiviazione risale al marzo 2017. Venditti, insieme alla collega Giulia Pezzino, aveva ricevuto il fascicolo su Sempio dopo un esposto della madre di Alberto Stasi, l’ex fidanzato di Chiara condannato in via definitiva a 16 anni. L’indagine non portò a nuovi elementi e fu chiusa nel giro di tre mesi. Tre anni dopo, nel 2020, un nuovo fascicolo – trasferito da Milano dopo una denuncia per molestie presentata dall’avvocata di Stasi – arrivò ancora sulla sua scrivania. Anche in quel caso, l’allora procuratore aggiunto chiese l’archiviazione.
A giugno, a Quarto Grado, Venditti aveva rivendicato quella decisione: «Avevo già deciso dopo ventuno secondi». Un’affermazione che oggi torna come boomerang nel momento in cui gli inquirenti cercano di capire se la rapidità di quelle conclusioni fosse dettata solo dalla mancanza di prove o da altre motivazioni.
Il suo difensore, l’avvocato Domenico Aiello, ha scritto una lettera al ministro della Giustizia, definendo l’indagine “una ferita alla dignità di un magistrato che ha sempre servito lo Stato”. «Se un appunto di un indagato basta a fondare un’accusa di corruzione, allora vale tutto», ha detto Aiello. E sulla presunta cifra dei 40mila euro ha aggiunto: «Non sono una somma fuori scala, ma questo non significa che sia un pagamento illecito».
I legali di Andrea Sempio, Massimo Lovati e Angela Taccia, parlano di “macchinazione”: «Il mio assistito è innocente. Ogni giorno ce n’è una nuova», dice Lovati, ricordando che nel 2017 fu proprio lui a informare il giovane della probabile archiviazione: «Gliel’avevo detto io. L’indagine era vuota». L’altra legale, Taccia, definisce “inverosimile” l’ipotesi di una corruzione: «Sarebbe ridicolo pensare che una famiglia conservi un bigliettino compromettente in casa propria».
L’abitazione dei Sempio, a Garlasco, è stata perquisita per ore da Guardia di Finanza e carabinieri. I militari hanno sequestrato computer, appunti e documenti bancari, in un’inchiesta che non riguarda soltanto l’ex magistrato ma che potrebbe rimettere in discussione interi pezzi dell’indagine originaria.
Nel frattempo, la famiglia Poggi assiste con sgomento all’ennesimo ribaltamento di prospettiva. «La prego, non ci faccia domande, non abbiamo niente da dire», risponde con cortesia Rita Preda, la madre di Chiara. «Siamo esausti, oltre lo sfinimento», fa sapere più tardi al loro legale Gianluigi Tizzoni. «Non credo di sbagliare se dico che sono persone stremate – spiega l’avvocato – costrette ogni volta a rivivere l’incubo. È come se dovessero saltare un’asticella sempre più alta per arrivare alla fine di questa storia».
Il collega Francesco Compagna, legale del fratello Marco Poggi, parla di “paradosso dei paradossi”: «Non è un colpo di scena, ma un cortocircuito. Sembra che si combatta senza esclusione di colpi, sulla pelle delle persone e sulla credibilità della giustizia».
Le parole di Compagna riassumono il sentimento diffuso tra gli addetti ai lavori: ogni nuova inchiesta sul caso di Garlasco, anziché portare chiarezza, sembra aggiungere una nuova ombra. E la domanda dei genitori di Chiara resta la stessa, da diciotto anni: “Finirà mai tutto questo?”.
Per ora, il nome di Mario Venditti resta sul registro degli indagati. L’ex procuratore respinge ogni accusa, parla di “fraintendimento giudiziario” e continua a ribadire di non aver mai accettato denaro. Ma il “pizzino” trovato a Garlasco e le intercettazioni riaperte a Brescia segnano l’ennesimo colpo di scena in un caso che continua a sfidare il tempo, la memoria e la fiducia nella giustizia.