Raoul Bova nella bufera digitale: l’ex suocera Bernardini De Pace lo difende e attacca Corona

Raoul Bova passa dalle fiction alla cronaca vera, e non per una parte che avrebbe mai voluto interpretare. L’attore romano, 53 anni, si trova al centro di un caso che mescola seduzione, ricatti e gogna mediatica. Foto, chat e messaggi vocali destinati a restare privati sono finiti nella centrifuga della rete, trasformando una vicenda personale in un affare giudiziario.

A guidare la controffensiva legale è Annamaria Bernardini De Pace, avvocata nota per le battaglie nei tribunali di famiglia e madre della prima moglie di Bova, Chiara Giordano. Proprio lei, dieci anni fa, lo aveva attaccato pubblicamente dopo la separazione dalla figlia, definendolo in una celebre lettera sul Giornale «un genero degenerato». Oggi i ruoli si capovolgono: Bernardini De Pace è diventata la voce del suo ex genero, impegnata a proteggere lui e la sua famiglia dal ciclone digitale.

«Oltre ai ricatti, nel momento in cui quelle chat e quegli audio sono stati diffusi vengono commessi altri reati, che hanno giustificato il nostro ricorso al Garante», spiega il legale, che ha chiesto la rimozione immediata di ogni contenuto privato dai social e dai siti che lo hanno rilanciato. L’istanza al Garante punta a bloccare la circolazione dei messaggi vocali e delle trascrizioni, a tutela della reputazione dell’attore e della sua privacy.

La storia comincia tra l’11 e il 12 luglio, quando Bova riceve circa quaranta messaggi da un numero spagnolo sconosciuto. Il contenuto è chiaro: una tentata estorsione. Per evitare la pubblicazione di conversazioni intime con Martina Ceretti, giovane modella con cui l’attore aveva scambiato messaggi e vocali privati, l’anonimo chiede denaro. Bova non cede: «È un reato quello che stai facendo. Io non pago», risponde secco.

Il ricatto non si ferma, e il 25 luglio il materiale compare sul canale YouTube Falsissimo, gestito da Fabrizio Corona, che ne cavalca subito la diffusione sui social. Da lì l’effetto valanga: meme, parodie e battute corrono tra TikTok e Instagram. Anche i profili ufficiali di alcune aziende e squadre di calcio, come Ryanair e il Napoli, rilanciano ironicamente l’audio, contribuendo al danno d’immagine.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il materiale sarebbe arrivato a Corona tramite Federico Monzino, amico di Ceretti. È lui stesso ad ammettere di aver inviato chat e messaggi all’ex fotografo, con il consenso iniziale della ragazza. Poco dopo, però, la modella cambia idea: chiede di fermare tutto e contatta Corona. Invano. «Ha fatto di testa sua», racconta Monzino, indicando nell’ex fotografo l’uomo che ha deciso di premere il pulsante della pubblicazione.

Questa scelta potrebbe costare cara a Corona, già noto per vicende simili. I suoi precedenti per estorsione ai danni di personaggi famosi pesano come un macigno: la procura di Roma, con la pm Eliana Dolce, sta valutando se configurare anche ricettazione e diffusione illecita di materiale privato, reati che si aggiungerebbero all’ipotesi di tentata estorsione.

Il ruolo di Martina Ceretti resta sospeso tra curiosità e sospetto. Gli investigatori si chiedono se sia stata solo una giovane donna travolta dagli eventi, o se abbia avuto un ruolo consapevole nella catena che ha portato prima al tentativo di ricatto e poi alla pubblicazione online. Anche per lei, come per Monzino, sono stati sequestrati i dispositivi elettronici.

Bova, intanto, ha scelto di reagire in tribunale e non con il silenzio. La sua decisione di denunciare, invece di pagare per insabbiare la vicenda, lo espone alla gogna digitale ma gli permette di rivendicare il diritto alla tutela della sua vita privata.

Un diritto che oggi l’ex “genero degenerato” difende con l’appoggio di chi un tempo lo accusava. Perché nella guerra tra tentativi di ricatto, social network e curiosità morbosa, a farne le spese sono soprattutto le persone e le famiglie, schiacciate tra la vita reale e il palcoscenico spietato della rete.