Un vizio formale che cambia la traiettoria del processo. E un’aula di Tribunale che, per qualche minuto, trattiene il fiato. A Catanzaro, nell’udienza preliminare a carico di Mario Gregoraci, 74 anni, il gup ha accolto l’eccezione sollevata dalla difesa e dichiarato la nullità dell’atto con cui la Procura chiedeva il rinvio a giudizio. La motivazione è tecnica, ma dagli effetti rilevanti: la notifica degli atti di chiusura indagine, secondo il giudice, presentava un vizio tale da incidere sul diritto di difesa. Di qui, la regressione del fascicolo alla fase delle indagini preliminari.
È un colpo di scena che spiazza la stessa accusa e rimette il cronometro all’inizio. L’indagine, che riguarda presunti atti persecutori, maltrattamenti e lesioni ai danni dell’ex compagna Rosita Gentile, torna ora nelle mani degli inquirenti. Un ritorno indietro che non cancella quanto fatto ma riapre la possibilità di ulteriori verifiche, nuovi approfondimenti, eventuali integrazioni investigative. E, soprattutto, restituisce alla difesa margini che il giudice ha ritenuto compromessi da una lacuna procedurale.
La vicenda giudiziaria di Gregoraci – padre della showgirl Elisabetta – era approdata all’udienza preliminare portando con sé l’eco di un’inchiesta che, oltre ai risvolti penali, aveva attirato attenzione mediatica per la natura delle contestazioni e per l’intreccio di rapporti personali. La Procura di Catanzaro ipotizzava reati che rientrano nell’orbita delle violenze domestiche: condotte persecutorie, maltrattamenti e presunte aggressioni fisiche. Un quadro accusatorio grave, che oggi viene però sospeso e rimesso a nuova valutazione.
La difesa, rappresentata dall’avvocata Ramona Gualtieri, ha rivendicato il risultato come una garanzia ripristinata. “È il riconoscimento del pieno diritto di difesa”, ha sottolineato al termine dell’udienza, ricordando come la regolarità della notifica degli atti sia condizione essenziale per consentire all’indagato di preparare compiutamente la propria linea. Non una vittoria definitiva, ma un passaggio significativo: il procedimento non si spegne, ma viene riavvolto e ricollocato al vaglio investigativo.
Sul piano processuale, lo scenario che si apre è duplice. La Procura potrà sanare il vizio e ripresentare la richiesta di rinvio a giudizio, confermando di fatto l’impostazione originaria. Oppure potrà riesaminare gli atti nel merito, verificando se e come aggiornare le contestazioni alla luce delle ulteriori attività istruttorie che potrebbero seguire. In ogni caso, i tempi tornano a dilatarsi. E il profilo dell’indagato resta sospeso tra un’accusa che non si traduce in processo e una fase istruttoria che si riapre.
Per chi segue le dinamiche giudiziarie, la decisione del gup rientra nel solco della giurisprudenza che valorizza la correttezza delle procedure come presidio irrinunciabile. Una scelta che richiama l’essenza stessa del contraddittorio: nessun passaggio può dirsi valido se non è stato messo nelle condizioni formali di esserlo. È una tutela che agisce a monte, prima ancora di affrontare il cuore delle imputazioni, ma che può incidere in profondità sugli equilibri di un procedimento penale.
L’attenzione adesso si sposta sulle mosse dei pm. Sarà compito degli inquirenti stabilire se confermare integralmente il quadro accusatorio o se introdurre elementi nuovi, dopo aver nuovamente messo a disposizione delle parti gli atti di indagine. Nel frattempo, Gregoraci torna nella posizione di indagato in fase preliminare, in una vicenda che resta delicata non solo per i reati ipotizzati ma anche per il contesto relazionale in cui si colloca.
L’udienza di oggi lascia dunque una fotografia in chiaroscuro: nessuna assoluzione, nessuna condanna, ma una sospensione procedurale che rinvia il giudizio al futuro prossimo. In attesa di capire se l’impianto accusatorio verrà riproposto, corretto o ripensato, l’unica certezza è che la strada giudiziaria si allunga. E che un vizio di forma, in questo caso, è bastato per rimettere tutto in discussione.







