“Dalla terra”, la sfida che si è autolanciata Mina, esplorando 1000 anni di musica sacra

Mina è un enigma che canta. Una stella che ha scelto il silenzio per brillare più forte. Non ha bisogno di apparire, perché la sua voce è presenza. Non c’è e c’è ancora di più. È carne. È vento. È musica. È preghiera. È peccato.  Luce che sa farsi ombra. Quando canta, Mina non interpreta: si spoglia per mostrarci la sua anima e ci inchioda all’ascolto. La sua voce ci trafigge come una lama di un coltello affilato. Ci squarcia i vestiti, le sovrastrutture sociali, ci rende nudi. E in quella nudità, ci riconosciamo tutti. Le sue note non si ascoltano: si attraversano, come si attraversa la vita e il dolore. Quello che impariamo a cucirci addosso. 

C’è un disco, nascosto tra i tanti capolavori che Mina ha consegnato alla storia della musica italiana, che sembra fatto non per essere ascoltato, ma per essere vissuto: “Dalla Terra”, pubblicato nel 2000. Non è solo un album: è un pellegrinaggio. Un atto di amore e devozione che abbraccia mille anni di musica sacra, portando la voce umana là dove si confonde con il respiro dell’eternità. Mina non è solo artista, è rito. È la prova che la musica può ancora essere sacra, senza essere antica; universale nonostante possa sembrare adatta ad un ascolto di soli fedeli. 

In un tempo in cui tutto corre, Mina resta, pur non essendoci fisicamente. E nel suo restare ci salva. 

Con questo album, con le sue intense interpretazioni di brani storici di straordinaria bellezza musicale e poetica, Mina ha avvicinato all’ascolto dei canti sacri tutti: credenti e non credenti. E lo ha fatto con quella voce. Con quella voce limpida, possente, vulnerabile, carnale e spirituale. Una voce che si fa liturgia, si fa tempo, si fa grazia. 

L’album si apre con “Magnificat” (musica di Mons. Frisina) brano di una potenza ancestrale: le armonie antiche si intrecciano con un’interpretazione moderna e intimissima. Mina canta come se stesse sussurrando all’orecchio di Dio. E non si tratta di una fede dichiarata, ma di una fede evocata, che abbraccia tutte le fragilità umane. Ogni parola cantata da Mina è scolpita nel silenzio. Ogni nota è un fiato che si solleva tra le ombre per illuminare.

In “Voi ch’amate lo Criatore” – adattamento musicale da un testo duecentesco di Jacopone da Todi – la lingua antica si posa sulle labbra moderne della cantante, come una reliquia viva. Ogni nota sembra scavare nel dolore e nella gloria dell’uomo. 

Il miracolo più intenso arriva forse con “Pie Jesu” di Fauré: qui Mina canta nel punto esatto in cui la voce si fonde con la luce. Nessun vibrato di troppo, nessuna teatralità: solo l’essenza della musica, dove il sacro non è un concetto, ma una presenza. La sua tecnica è perfetta ma invisibile, la respirazione è controllata con eleganza, il fraseggio è rispettoso del testo. Un’interpretazione che si fa musica, anche senza l’orchestra di fondo.

Dalla Terra” è un titolo che suona quasi come antitetico: perché, in realtà, la voce di Mina appartiene a un altrove. Eppure è anche profondamente umana.  Mina non alza mai la voce. La abbassa, semmai, fino a toccare la soglia del silenzio. Ed è lì, in quel silenzio, che si compie il miracolo. In un mondo governato dalla frenesia, Mina ci regala un tempo lento. Sacro. Eterno. E lo fa con la sola arma che ha sempre avuto a disposizione: la voce!

Lei che ha saputo cantare l’amore e l’abbandono, la solitudine e il desiderio, in questo album canta l’eterno, e nel farlo ci ricorda che “parole, parole, parole” possono essere lame, ma anche carezze, balsami, fede.

E mentre la sua voce si alza nel buio, capiamo che non c’è distanza tra cielo e terra, quando a unire tutto c’è una voce come la sua. La voce del cielo, del mondo, dell’Universo. La voce di Mina! 

Ernesto Mastroianni