Elodie a San Siro infiamma il pubblico: drag queen, botti, frizzi, bandiere e laser. Ma il talento?

Elodie a Milano

Presso la “Scala del calcio” milanese Elodie mette in scena uno show in stile Pride, con una buona dose di attivismo prêt-à-porter e overdose di effetti speciali. Slogan, frustini e laser coprono una performance dove la musica resta accessoria e il talento latita. Tra ospiti glam e messaggi sociali usati come arredo scenico, resta il dubbio: arte o marketing? Domani la replica a Napoli, come prima donna in assoluto ad esibirsi nello stadio intitolato a Maradona. 

“Make Equality Great Again”: così si apre lo show di Elodie a Milano. Con uno slogan sapientemente ruffiano, mutuato da un famoso meme politico, parte il viaggio sensoriale tra vasche d’acqua, drag queen e monologhi didascalici. Non uno, non due, ma ben quattro atti, ciascuno con tanto di messaggio sociale, recitazione, sesso mimato e coreografie che non badano al risparmio. Il tutto condito da ledwall, balletti sincronizzati e frustini: perché, si sa, se manca la sostanza… meglio abbondare con l’effetto speciale. E subito, lo spettatore attento (e non sbavante per i centimetri di pelle nuda esibiti dalla Di Patrizi), viene assalito da un dubbio: inclusività o sceneggiata?

La musica: elemento secondario… ma da qualche parte c’era

Tra una lacrimuccia per Tribale e rimandi strappa-like all’icona Madonna, spunta persino qualche nota musicale. Il momento “emozione pura per i fan” arriva con Tutta colpa mia, mai cantata dal vivo, forse perché troppo vera, troppo acerba, troppo poco filtrata dai team creativi. E gli auricolari che non funzionano? Nessun problema: si trasforma tutto in performance emozionale. Altro che playback, qui si scusano anche i difetti tecnici, che fanno molto vero.

Gli ospiti: contorno di lusso o salvagente?

Achille Lauro irrompe per una versione glam-trash di Rolls Royce, mentre Gianna Nannini entra come deus ex machina a portare un po’ di autenticità: il siparietto dura poco, non sia mai che tra colleghe ci si rubi la scena. Gaia e la deejay russa Nina Kraviz completano il quadretto: la prima come mascotte, la seconda come set di intermezzo. Il tutto con la delicatezza di un festival di paese truccato da show internazionale.

Elodie a Milano

Drag queen, Palestina e tanta coreografia

Drag queen dappertutto, monologhi sulla transizione, la bandiera palestinese sventolata come colpo di scena finale: tutto serve, tutto vale per portare a casa il risultato. Ma il dubbio continua ad aleggiare come una nuvoletta fantozziana sopra il Meazza: si tratta di arte o di marketing? Quando l’identità e l’attivismo diventano strumenti scenici, lo scivolone nell’ipocrisia è dietro l’angolo. Le cause sono nobili, per carità… ma il rischio che diventino tappezzeria per uno show disordinato è altissimo.

Inclusività come strategia di branding

I diritti sono importanti, anzi… sacrosanti! Come la visibilità per un artista che è fondamentale. Ma se il contenuto artistico passa in secondo piano rispetto al messaggio ideologico, allora qualcosa non torna. E quando l’inclusività si trasforma in strategia, più che convinzione, scatta inevitabile la polemica. Elodie, con il suo corpo sinuoso da pin-up, la voce spesso coperta da cori e basi e un repertorio cucito addosso come un vestito da party, sembra più preoccupata di lanciare slogan che di lasciare un’impronta musicale.

Talento in secondo piano, ma per questi tempi va bene così…

Lo show ha funzionato, il pubblico ha applaudito, i social hanno macinato contenuti. E domani sera si replica allo Stadio Maradona a Napoli. Ma in fondo, cos’è oggi un concerto se non un contenitore di contenuti virali? Elodie ha fatto il suo compitino, ha agitato il frustino, ha sventolato la bandiera che attualmente va per la maggiore, ha pianto dove doveva piangere. San Siro è domato. E l’arte? Chissà, forse è rimasta imbottigliata nel traffico e, all’ultimo momento, ha deciso di tornare a casa a guardare un documentario su Mina.