A 84 anni la signora Baez mantiene un’eleganza innata anche con jeans, una maglia nera e un ampio scialle azzurro. L’artista è transistata nel capoluogo lombardo per presentare Quando vedi mia madre, chiedile di ballare, edito da La Nave di Teseo, casa editrice fondata da Elisabetta Sgarbi. Dopo l’addio ai concerti nel 2018, la voce che ha attraversato decenni continua a raccontare la realtà con la scrittura. «Non volevo fare un libro politico – racconta – ma la politica entra sempre. I tempi sono duri, specie negli Stati Uniti».
Il volume, che raccoglie poesie intime e memorie personali, è anche un omaggio ad artisti come Jimi Hendrix, Leonard Cohen e naturalmente Bob Dylan, all’anagrafe Robert Zimmermann, col quale da giovane visse una chiacchierata storia d’amore, narrata anche nel recente film A complete unknown.
Joan Baez: poesia, guarigione e identità
Per Joan Baez la scrittura possiede un valore terapeutico. «Mi hanno diagnosticato un disturbo di personalità multipla. Alcuni testi sembrano scritti da altri ‘me’. È un’opera profondamente personale». I versi coprono molti anni e sono stati recuperati da vecchi appunti e computer dimenticati. La poesia, per lei, è stata una nuova forma di libertà: «È priva di struttura, come me. È servita a dire ciò che la musica non riusciva più a comunicare».
Ancora tanta voglia di cantare
Mentre le nuove generazioni scoprono il suo percorso artistico e politico anche grazie al film A Complete Unknown dedicato ad un giovane Bob Dylan, Baez non sembra intenzionata a smettere di usare la propria voce. Durante la conferenza stampa, sorprende tutti intonando One in a million, recente brano scritto da Janis Ian. Nonostante sia considerata una folksinger, la sua musica negli anni ha spaziato anche in molti generi: dal rock al pop, passando per il country e la musica gospel.
Joan Baez, l’intervista
Prima di aprire alle domande, sente il bisogno di chiarire: «Oggi ogni mia parola ha bisogno di essere messa nel contesto: quello del disastro in cui versa il mio Paese, che lascia davvero poca speranza. Detto questo, possiamo parlare di tutto». Lucida, diretta, essenziale.
Con questo libro ha scelto di raccontare la tua storia attraverso delle poesie: perchè questa scelta?
«Si tratta di poesie scritte anche molto tempo fa, che ho messo insieme recuperandole in giro dappertutto: rovistando nei cassetti, in soffitta, anche presso l’ufficio della mia assistente. Alcune non le trovavamo più. Un giorno la mia assistente ha rimesso in funzione un vecchio computer di 40 anni fa che conteneva alcuni scritti ma che non riusciva a recuperarle. Ha dovuto trascriverle a mano. Le poesie erano già scritte, ho fatto solo un po’ di editing»
Che differenza c’è tra scrivere poesie rispetto alle canzoni?
«Dentro di me convivono molte persone, alcune anche più giovani di me. Usare il linguaggio della poesia mi ha dato una grande libertà. Si tratta di una forma libera, senza struttura… e io non sono brava con le strutture».
Pensa che la poesia possa essere sorella della musica e dell’attivismo?
Ho iniziato a scrivere poesie da postare sui social. Diverse da quelle contenute nel libro: sono tutte politiche.
Come si rapporta a tutto quello che sta succedendo nel mondo?
«Ho un po’ di problemi a dormire, perché le notizie che arrivano sono ogni giorno sempre più disgustose. Ho un po’ di problemi nel dormire perchè mi capita di svegliarmi a pensare nel cuore della notte, chiedendomi se stia davvero succedendo. Ma in generale, la mia salute e il mio spirito stanno bene»
Lei è stata una grande amica del giornalista Furio Colombo, scomparso lo scorso anno: che ricordo conserva di lui?
«Ogni volta che sono venuta in Italia non ho mai perso occasione di incontrare Furio. L’ultima volta che abbiamo parlato è stato sul fascismo e sulla situazione globale. Mi ha detto: ‘Joni, sono nato nel fascismo e morirò nel fascismo’. Questo era Furio, mi manca davvero molto»
La poesia e la musica possono ancora rappresentare strumenti di lotta e di liberazione o quella gloriosa stagione è da considerarsi terminata?
«Tutto il contrario: quella stagione è appena cominciata! Abbiamo più che mai bisogno di canzoni che parlino di questo tempo. Non so come può accadere: forse serve un talento profondo come quello di Bob o Jimi. Nel frattempo, sfruttiamo quello che abbiamo. Anche i giovanissimi manifestanti per il controllo delle armi in Florida cantano vecchie canzoni di Dylan, perché non c’è nulla che le abbia sostituite. Sono grandi canzoni».
Col suo attivismo e impegno sociale-politico, lei ha sempre rappresentato una finestra sul mondo: gli artisti ancora oggi dovrebbero assumere questo ruolo?
Certamente, l’ho sempre sostenuto. Alcune grandi opere nascono da chi non è politico, ma per me le due cose sono sempre state legate.
Le è piaciuto il film A complete unknown?
Sì, a patto che ci non ci si dimentichi che si tratta di un film. Alcune parti sono bellissime. La musica era bellissima. E credo che Monica e Timothée Chalamet nel ruolo di Dylan abbiano recitato bene. Lui era solo un po’ troppo “pulito”.
Davvero l’arte o la bellezza salveranno il mondo?
In qualche modo, in parte, lo hanno già fatto, perché rappresentano un’ancora di salvezza, riempiendo una parte di noi che nient’altro riesce a colmare. Quindi, in questo senso, ci salvano. Ma salvare il mondo dalla tirannia? Non so davvero cosa potrà riuscirci…