È bastato un annuncio di Alessandro Giuli per far insorgere l’intero comparto dell’audiovisivo. Il ministro della Cultura, pressato dalle proteste per il taglio da 150 milioni imposto dalla manovra al fondo cinema (che diventeranno 200 nel 2027), ha tentato una mossa di salvataggio: «Abbiamo firmato un decreto per reindirizzare somme inutilizzate dal 2022 al finanziamento del fondo». Tradotto: cento milioni di euro tornano nelle casse del settore.
Solo che, alla prova dei fatti, quel “tesoretto” non esiste. O meglio, non è nuovo. È denaro già maturato dalle imprese attraverso i contributi automatici — la forma di incentivo più solida del sistema — e mai ancora liquidato per i ritardi burocratici accumulati dal ministero. Giuli, dunque, non avrebbe trovato fondi aggiuntivi, ma semplicemente ricollocato risorse già impegnate. Una partita di giro, come la definisce senza mezzi termini l’Istituto italiano per l’industria culturale (IsICult), che parla di «operazione contabile a effetto comunicativo».
Il caso nasce da una manovra che, tra i vari tagli, ha decurtato il fondo cinema da 696 a 550 milioni per il 2026, con una nuova sforbiciata fino a 500 nel 2027. Un colpo durissimo per un comparto che dà lavoro a oltre 180mila persone e vale circa l’1,5% del Pil. Davanti alla protesta compatta di produttori, autori e maestranze, il ministro ha tentato di correre ai ripari annunciando “il recupero di 100 milioni”. Ma i conti non tornano.
«Non si tratta di risorse inutilizzate — spiegano fonti del settore — bensì di somme già maturate dalle aziende, contabilizzate nei bilanci, in attesa solo di essere incassate». Per capire: il sistema dei contributi automatici assegna alle imprese un credito in base alla qualità e al successo dei film o delle serie prodotte, credito che può essere utilizzato nei cinque anni successivi per nuovi progetti. Quei fondi non dormono nei cassetti del ministero, ma rappresentano impegni già presi con le società di produzione.
Di fatto, dunque, Giuli avrebbe “prelevato” da quella stessa voce per riempire il fondo che la manovra aveva svuotato. Una girandola contabile che non cambia il bilancio complessivo ma rischia di aggravare la crisi, perché toglie ossigeno alle imprese che contavano su quei crediti per finanziare i prossimi lavori.
Il deputato Matteo Orfini, promotore degli Stati generali del Cinema del Partito Democratico, è netto: «Al ministro diciamo basta. Basta improvvisare e prendere in giro il settore. Quelle risorse non sono un tesoretto da recuperare: sono contributi già maturati e bloccati per colpa della lentezza di questo governo. Se davvero vuole correggere l’errore della manovra, Giuli deve chiedere a Giorgetti di rinunciare al taglio, non fare giochi di prestigio contabili».
Anche i 5 Stelle attaccano. Per Gaetano Amato l’operazione è «una presa per i fondelli delle maestranze», utile solo a «coprire i tagli veri» e a «gettare fumo negli occhi di chi lavora».
A non crederci è pure l’intero fronte delle associazioni di categoria — Anica, Apa, Cna Cinema e Audiovisivo — che, pur riconoscendo «l’impegno del ministro a trovare liquidità immediata», avvertono che «non bastano le buone intenzioni per impedire una crisi strutturale». Nella loro nota congiunta si legge: «La riduzione del fondo metterebbe a rischio decine di migliaia di posti di lavoro e avrebbe effetti devastanti sull’intera filiera».
Il presidente di IsICult, Angelo Zaccone Teodosi, smonta pezzo per pezzo l’operazione Giuli: «Quelli richiamati non sono fondi inutilizzati, ma semplicemente non assegnati. Si tratta di un’operazione contabile che sposta risorse già esistenti da un capitolo all’altro del bilancio. I 100 milioni equivalgono ai contributi automatici non assegnati nel 2022, 2023 e 2024 — 40 milioni per le prime due annualità e 21,3 per l’ultima — non a risorse aggiuntive».
Tradotto: nessun euro in più per il cinema, solo un travaso di poste interne al ministero. Che però rischia di generare un effetto domino pericoloso: se le imprese non riceveranno i contributi automatici maturati, i loro bilanci ne usciranno dissestati, con ripercussioni su investimenti, occupazione e nuovi progetti.
In altre parole, quello che Giuli presenta come un “rilancio” del fondo è in realtà un prelievo dagli stessi soldi che spettano alle produzioni. Una “magia contabile” che non riempie i vuoti, ma li sposta di qualche colonna.
Mentre il ministro insiste nel rivendicare la “scelta di responsabilità” e promette di «difendere con forza il valore strategico dell’industria culturale italiana», il comparto non sembra disposto a farsi placare da slogan. «Fino a quando non saranno reintegrate le risorse tagliate in Finanziaria — scrivono Anica e Apa — resta tutto l’allarme e la preoccupazione del settore».
E se la Cultura è davvero il “petrolio d’Italia”, come ama ripetere lo stesso Giuli, è difficile capire perché il governo continui a trivellare i suoi pozzi invece di proteggerli. Il cinema italiano, quello che negli ultimi anni ha portato il Paese ai festival di tutto il mondo e riempito le piattaforme internazionali, oggi si trova davanti a un bivio: reinventarsi con meno o reclamare ciò che gli spetta.
Nel frattempo, il ministro incassa l’ennesimo applauso dalla sua maggioranza per un annuncio che, a conti fatti, non cambia nulla. I 100 milioni restano numeri scritti due volte sullo stesso bilancio. Un doppione di sé stessi. Una scena già vista, dove la Cultura continua a fare la comparsa nel film del potere.







