Vigoressia in Italia: 60.000 casi, soprattutto tra i giovani

medici in ospedale

L’estate mette in mostra i corpi, ma anche le insicurezze più profonde. E tra i disturbi legati all’immagine corporea, la vigoressia, conosciuta anche come complesso di Adone, sta assumendo proporzioni sempre più preoccupanti. In Italia, secondo l’Istituto di Fisiologia Clinica, si stimano oltre 60.000 casi, soprattutto tra uomini e ragazzi tra i 19 e i 35 anni. Un fenomeno che trova terreno fertile nelle palestre e nei social, ma che nasce da radici più complesse.

A spiegarlo è Giuseppe Magistrale, psicoterapeuta e CEO di Lilac-Centro DCA, prima startup italiana dedicata al trattamento innovativo dei disturbi alimentari: “La vigoressia è un disturbo a eziologia multifattoriale. I social amplificano e normalizzano l’ossessione per la performance fisica, ma non ne sono l’unica causa. Alla base ci sono vissuti di fragilità e di svalutazione del sé”.

Corpo come corazza, tra bullismo e fallimenti interiorizzati

Il disturbo, inserito nel DSM-5 tra le specificazioni del dismorfismo corporeo, si manifesta nella percezione distorta del proprio corpo, che viene visto come “troppo piccolo” anche quando è evidentemente muscoloso. Il corpo diventa allora un linguaggio, una forma di reazione a esperienze di esclusione, derisione o senso di impotenza.

Secondo Filippo Perotto, co-founder di Lilac-Centro DCA, “oggi corpi come quello di Brad Pitt in Fight Club vengono ridicolizzati online, ritenuti inadeguati. I social hanno creato un immaginario estremo che penalizza chi non raggiunge determinati standard muscolari, facendo passare messaggi tossici sulla mascolinità”.

Discipline travestite da ossessioni

Il fenomeno si alimenta in ambienti dove la performance fisica è esasperata. “Nelle palestre – spiega ancora Magistrale – si è diffusa una cultura militarizzata del corpo, dove anche corpi perfettamente scolpiti vengono definiti ‘secchi’. L’ossessione per l’allenamento viene scambiata per disciplina, mentre spesso nasconde un profondo disagio psicologico”.

Un disagio che resta spesso invisibile, soprattutto tra gli uomini, schiacciati da una doppia stigmatizzazione: quella legata alla salute mentale e quella culturale che associa la cura del corpo alla virilità e al controllo. Le conseguenze possono essere gravi: isolamento, uso di sostanze, lesioni fisiche, disturbi alimentari, depressione e, nei casi estremi, rischio suicidario.

Un approccio integrato per rompere la corazza

Secondo Lilac-Centro DCA, affrontare la vigoressia richiede un cambio di paradigma. “Non basta intervenire sull’apparenza – conclude Perotto –. Serve una presa in carico clinica che includa psicoterapia, supporto nutrizionale, monitoraggio medico e uno spazio sicuro dove poter ridefinire il proprio valore personale. È l’unico modo per uscire da una cultura che nega la vulnerabilità maschile e la trasforma in un’ossessione da mostrare”.

Lilac lancia così un messaggio chiaro: la vera forza non si misura in centimetri di bicipite, ma nella capacità di riconoscere e affrontare le proprie fragilità.