Sandokan tra le erbacce di Lamezia: la scenografia pagata 560mila euro con soldi pubblici giace arrugginita. E Striscia la Notizia riprende l’esclusiva di LaCnews24

Can Yaman

Sandokan è tornato in tv, ma Mompracem, oggi, non profuma più di avventura. Sa di ruggine, di sterpaglie e di soldi pubblici lasciati marcire sotto il sole della piana di Lamezia Terme. La scenografia acquistata dalla Calabria Film Commission per 560mila euro, definita negli atti ufficiali come “opera d’arte unica”, giace ora abbandonata tra le erbacce, recintata da cancelli ossidati, con catene che sembrano uscite da un set horror più che da una produzione di prima serata Rai.

Parliamo di una Film Commission che, negli ultimi cinque anni, avrebbe movimentato circa 25 milioni di euro. Una cifra monstre, su cui in molti continuano a chiedersi come siano stati realmente spesi quei fondi. E proprio su quei percorsi amministrativi “misteriosi” si concentrò già il lavoro di Michele Macrì per Striscia la notizia, il 22 maggio 2025. L’inviato mostrò come sul sito ufficiale dell’ente comparisse un elenco di atti di difficile lettura, non cliccabili, senza delibere scaricabili. Un’anomalia pesante, considerando che si tratta di denaro pubblico.

È in quel contesto che emerge l’acquisto della scenografia di Sandokan. Se cercata sul sito madre della Film Commission, non se ne trova traccia chiara. L’indicazione compare invece sul sito dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, nella banca dati degli appalti della pubblica amministrazione. Ed è lì che l’acquisto è rubricato con una definizione che oggi suona grottesca: “opera d’arte unica”. Un’opera d’arte che, però, non è in un museo, né in un deposito climatizzato, né in una struttura protetta. È all’aperto, sotto il sole, la pioggia, il vento e l’incuria.

A distanza di pochi mesi dal servizio di Striscia, la testata gemella La C News24 ha documentato quello che resta del set con un reportage firmato da Alessia Principe e Francesco La Luna. Le immagini parlano da sole, ma le parole usate per descriverlo sono ancora più dure: pannellature verticali lasciate in balia degli agenti atmosferici, una recinzione bassa e deformata, con varchi di facile accesso, il piazzale in terreno battuto invaso da infestanti e detriti solidi. Nessuna copertura industriale, nessun telo protettivo, nessuna segnaletica visibile, se non un cartello “Divieto di accesso ai mezzi non autorizzati” ormai inghiottito dall’erba alta. Un’opera d’arte “unica”, certo. Unica nel suo abbandono.

Chi volesse vedere con i propri occhi questo surreale museo a cielo aperto deve spingersi nella zona industriale di Lamezia Terme. Da lì percorrere una lunga strada isolata che porta ai capannoni della Fondazione Terina, seguendo un paesaggio fatto di sterrati, strutture incompiute, cantieri aperti sui futuri Studios cinematografici. Un progetto da quasi 22 milioni di euro, tra camion che arrancano sulle fondamenta e promesse sospese. Ed è proprio a poca distanza da quei lavori che la scenografia di Sandokan si nasconde dietro un canneto, protetta solo da cancelli arrugginiti e catene corrosive.

Non sembra Mompracem. Come raccontano i bravissimo colleghi di LaC, sembra il set di un film di Eli Roth. Un po’ avventura esotica, un po’ Hostel. E in questo scenario surreale si concentra una delle immagini più potenti della vicenda: mentre la serie va in onda sulla Rai, con Can Yaman nei panni che furono di Kabir Bedi, il set reale marcisce nella periferia calabrese. La fiction vive di luci, montaggi e prime serate. La scenografia vera vive di ruggine, silenzi e incuria.

Nel servizio di Striscia – che riprende LaC – l’inviato era andato direttamente dal presidente della Film Commission per chiedere conto di quell’acquisto da 560mila euro. Voleva capire perché spendere una cifra simile per un “bene unico” e, soprattutto, che fine avrebbe fatto. Le risposte, all’epoca, non chiarirono il quadro. Oggi lo stoccaggio all’aperto lo oscura definitivamente.

Resta poi un’altra opacità: il sito ufficiale dell’ente, quello che dovrebbe garantire la trasparenza verso i cittadini, nel 2024 sarebbe stato implementato con una spesa di 18mila euro. Eppure, proprio lì, le informazioni risultano parziali, non navigabili, prive degli strumenti minimi di controllo pubblico. Per conoscere l’esistenza dell’“opera d’arte unica” bisogna invece passare da un altro canale istituzionale, l’Anac. Una bizzarria che alimenta ulteriormente interrogativi.

In questo scenario, il destino della scenografia di Sandokan diventa simbolo di qualcosa di più grande: una gestione che appare scoordinata, un flusso di denaro che fatica a trovare una destinazione coerente, una narrazione pubblica fatta di rilanci e promesse, schiacciata da una realtà di sterpaglie, ferri ossidati e cancelli chiusi. La televisione racconta l’epica. Il territorio conserva i rottami.

E mentre il pubblico discute della nuova interpretazione, dei costumi, delle scene spettacolari, in Calabria resta una scenografia da centinaia di migliaia di euro che nessuno vede, nessuno protegge, nessuno valorizza. Pagata dai contribuenti, sepolta dalle erbacce. Non è più solo una questione di fiction. È una fotografia amara di come, spesso, finiscono i soldi pubblici quando il set si spegne e le telecamere se ne vanno.