Roma mette un prezzo, simbolico ma netto, su uno dei suoi luoghi più fotografati e più “consumati”. A partire dal 7 gennaio, i turisti che vorranno accedere all’area della Fontana di Trevi dovranno pagare un ticket di 2 euro, mentre per i romani l’ingresso resterà gratuito. Non è una trovata da titolo facile: è il passaggio successivo di una gestione che, già da circa un anno, ha smesso di fingere che la Fontana possa reggere qualsiasi numero senza conseguenze.
Il punto di partenza è proprio il contingentamento. Da mesi il flusso dei visitatori è regolato con un tetto massimo di 400 persone alla volta nella zona di sosta, per evitare l’assedio continuo e rendere possibile un minimo di controllo. Ora si cambia marcia: da gennaio entrerà in funzione un sistema a doppio binario, con due corsie distinte, una riservata ai romani e una per i turisti. La separazione serve a rendere immediata la distinzione tra chi ha accesso gratuito e chi, invece, dovrà pagare. Per il ticket viene prevista anche la possibilità di utilizzare la carta di credito: tradotto, meno contanti, meno code “artigianali”, più scorrimento.
Secondo quanto riportato, l’operazione dovrebbe portare nelle casse comunali circa 20 milioni di euro. La misura è voluta dall’assessore al Turismo e ai grandi eventi, Alessandro Onorato, ed è stata condivisa dall’amministrazione comunale con un obiettivo dichiarato: salvaguardare la fontana più grande di Roma, il capolavoro tardo-barocco di Nicola Salvi, schiacciato da una pressione turistica che non ha paragoni in città. E i numeri spiegano meglio di qualsiasi comunicato perché si sia arrivati a questa scelta: solo nei primi sei mesi di quest’anno, la Fontana di Trevi avrebbe registrato oltre 5 milioni e 300mila visitatori, più di quanti ne abbia totalizzati il Pantheon nell’intero 2024 (4.086.947 ingressi). Non è un confronto “per vanità”, è la fotografia di un problema pratico: in certi punti Roma non è solo piena, è saturata.
Il ticket, per come viene raccontato, non nasce per scoraggiare l’arrivo, ma per governarlo e finanziare un pezzo di gestione che finora è stata affidata soprattutto a transenne, agenti e buonsenso. Due euro non cambiano la decisione di un turista che ha attraversato mezzo mondo, ma cambiano l’idea che l’accesso sia sempre e comunque illimitato, gratuito, senza regole e senza responsabilità. È un messaggio, prima ancora che un incasso: la Fontana non è un set aperto 24 ore su 24 senza conseguenze, è un bene fragile e iper-esposto, con un impatto quotidiano su decoro, sicurezza, manutenzione e vivibilità del quartiere.
Le risorse ottenute dal pagamento del ticket dovrebbero essere destinate al miglioramento dell’offerta e dei servizi turistici. È qui che la partita diventa politica e concreta: i romani, da una parte, sono tutelati con la gratuità e con una corsia dedicata; dall’altra, si aspettano che l’introito si traduca davvero in gestione, non in un titolo in bilancio. Perché il nodo, a Trevi, non è solo l’affollamento “in sé”, ma quello che l’affollamento produce: stazionamenti infiniti, tempi d’attesa, ingorghi nelle strade adiacenti, difficoltà di controllo nei momenti di picco. Il sistema del numero chiuso e dei varchi separati punta a riportare l’area a una dimensione minima di fruibilità, evitando che l’esperienza si riduca a una compressione continua di corpi e smartphone.
È inevitabile che la misura apra anche un fronte di discussione: dove finisce l’accesso a pagamento e dove inizia la privatizzazione di fatto di uno spazio pubblico? La risposta, nel disegno annunciato, sta nel carattere “mirato” dell’intervento: non si paga Roma, si paga l’ingresso regolato in un’area iper-sensibile già contingentata. È la logica del controllo più che quella del pedaggio generalizzato. E infatti il Comune, prima ancora del ticket, aveva già stabilito che lì non poteva entrare chiunque, in qualunque momento, senza limiti.
Dal 7 gennaio, quindi, la Fontana di Trevi non cambia natura: resta una piazza, resta un simbolo, resta il punto dove si torna anche quando si è “già visto tutto”. Cambia il modo in cui Roma prova a difenderla dalla sua stessa fama. Due corsie, un tetto di presenze, un ticket per i turisti e la promessa che quei soldi diventino servizi. Il resto, come sempre, lo dirà la realtà: se la nuova regia terrà, Trevi smetterà di essere soltanto il luogo più preso d’assalto e tornerà a essere, almeno un po’, un luogo da guardare.







