Il lavoro davanti alle nuove sfide dell’intelligenza artificiale

Il lavoro davanti alla sfida dell’intelligenza artificiale. Cosa succederà in Italia, quali professioni scompariranno e quali nuovi mestieri nasceranno. Il futuro è a un passo.

Il futuro è già entrato nelle nostre vite, e con lui la paura di essere sostituiti da una macchina. Secondo il sondaggio internazionale GPO-AI, realizzato dall’Università di Toronto, in 21 Paesi  il 54% degli intervistati è convinta che il proprio lavoro sparirà entro dieci anni a causa dell’intelligenza artificiale. Una maggioranza che fotografa l’ansia collettiva di fronte a una tecnologia capace di ridisegnare, in tempi rapidissimi, i confini del lavoro. Ma anche i confini dell’economia, della società, dello sviluppo mondiale.

Il timore cresce dove l’economia è più fragile. In questi paesi, oltre il 70% degli intervistati danno già per persa la propria occupazione, Mentre nei paesi più sviluppati come Germania, Canada e Giappone, solo una minoranza crede che il proprio impiego sparirà. Ma spesso è proprio nei Paesi più avanzati che l’automazione può colpire con maggiore forza. Tutto , insomma può accadere.

L’Ocse calcola che quasi un terzo dei posti di lavoro nei Paesi sviluppati sia a rischio automazione. Il World Economic Forum prevede che  entro il 2030 nasceranno 170 milioni di impieghi e ne scompariranno 92 milioni, con un saldo positivo di 78 milioni. Ma rimani da capire quanti lavoratori resteranno esclusi nella fase di transizione.  E chi avrà davvero accesso ai nuovi ruoli ad alta specializzazione che l’AI renderà indispensabili. 

Geoffrey Hinton, uno dei padri dell’intelligenza artificiale, al Financial Times ha parlato senza mezzi termini: “L’AI creerà una disoccupazione di massa e un enorme aumento dei profitti. Renderà alcune persone molto più ricche e la maggior parte più povere. Non è colpa dell’AI, è colpa del sistema capitalista”. 

Una frase che apre scenari imprevedibili: non basta preoccuparsi della tecnologia, bisogna interrogarsi sul modello economico che la governa. Perché da sola la tecnologia, come l’IA, è profondamente stupida. Ma dovrà l’uomo a renderla intelligente. Senza però rimanerne succube.

Nel nostro Paese l’intelligenza artificiale generativa si sta diffondendo rapidamente, ma siamo penultimi in Europa per livello di conoscenza e utilizzo dell’AI. Un ritardo che rischia di trasformarsi in una sconfitta: senza competenze adeguate, i lavoratori italiani saranno tra i primi a restare indietro. E saranno probabilmente i più numerosi. Con conseguenze sociali ed economiche gravi.

I mestieri che rischiano di scomparire sono: cassieri di supermercato, operatori di call center, impiegati amministrativi, addetti ai trasporti e persino alcune professioni tecniche saranno progressivamente sostituiti da algoritmi e macchine capaci di svolgere in pochi secondi compiti oggi ripetitivi e lenti. Allo stesso tempo nasceranno nuove figure professionali: ingegneri sviluppatori di sistemi intelligenti, esperti di regolazione digitale, professionisti della sicurezza informatica, creatori e supervisori di contenuti generati dall’AI.

Per le nuove generazioni, questo significa entrare in un mercato del lavoro diverso da quello conosciuto dalle precedenti generazioni: meno spazio per i lavori standardizzati, più richieste di creatività, competenze digitali, capacità di adattarsi a professioni che oggi nemmeno esistono. Sarà una sfida durissima, ma anche un’occasione straordinaria. Il rischio è che chi non avrà gli strumenti giusti e chi non saprà adattarsi rapidamente saranno tagliati fuori. Al contrario, invece, chi saprà cavalcare la trasformazione avrà davanti un mondo di opportunità.

Il futuro del lavoro non sarà scritto solo dalle macchine: sarà scritto da quanto saremo capaci di governarle. E dalla capacità delle nuove generazioni di reinventarsi, senza perdere la parte più umana del lavoro: creatività, empatia, responsabilità. È lì che, anche nell’era dell’intelligenza artificiale, si giocherà la vera partita. Una sfida straordinaria che cambierà per sempre le nostre vite.

Battista Bruno