È successo all’alba di una crisi politica e istituzionale a Parigi: per la prima volta dalle serie storiche, lo spread tra i titoli di Stato decennali italiani e francesi si è azzerato. Entrambi viaggiano al 3,47% di rendimento, circa 80 punti base sopra il Bund tedesco. Non era mai accaduto che il rischio percepito sui titoli Oat transalpini fosse pari a quello dei Btp italiani.
Una fotografia che qualcuno a Roma potrebbe leggere con compiacimento, come una rivincita inaspettata. Per anni l’Italia ha occupato stabilmente l’ultimo gradino della classifica della credibilità finanziaria europea. Oggi, complice la crisi politica francese, non è più da sola in fondo alla scala. E questo mentre, secondo i dati della Commissione europea, l’Italia mostra un debito al 136,7% del Pil (in aumento) e la Francia uno al 116% (anch’esso in crescita ma su valori inferiori).
Dietro l’apparenza del “pareggio” si nasconde però un paradosso. L’Italia può vantare una linea di bilancio più prudente e governi relativamente stabili, ma non può permettersi di guardare con soddisfazione alle difficoltà altrui. Anzi, sono almeno due i motivi per cui Roma deve temere una vera crisi del debito a Parigi.
Il primo è strettamente finanziario. I destini di Italia e Francia sono intrecciati, troppo per poterli separare. Se i titoli francesi dovessero perdere credibilità sui mercati, gli investitori internazionali cercherebbero immediatamente analogie. E finirebbero per puntare lo sguardo proprio sull’Italia, dove la crescita è prevista sotto lo 0,7%, il debito è più alto, le start up meno numerose e gli investimenti tecnologici più deboli. A quel punto il rischio contagio diventerebbe realtà, e il premio di rischio italiano tornerebbe a salire.
Il secondo è commerciale. La Francia non è solo un vicino ingombrante, ma anche uno dei partner più cruciali per l’export italiano. Dopo gli Stati Uniti, è il mercato che garantisce all’Italia il surplus più ampio: nel 2024 le aziende italiane hanno esportato beni per 61,5 miliardi di euro, a fronte di importazioni per 48,2 miliardi. Il saldo positivo di oltre 12 miliardi rappresenta una spinta diretta al Pil. Ma a differenza del mercato americano, soggetto a dazi e tensioni con l’amministrazione Trump, quello francese resta aperto e privo di barriere tariffarie. Una crisi finanziaria che riducesse i consumi in Francia colpirebbe come un virus anche l’economia italiana.
Ecco perché non c’è nulla da festeggiare. Un default francese, o anche solo un forte scivolone, avrebbe conseguenze devastanti su entrambe le sponde delle Alpi. «Simul stabant, simul cadent», recitavano i latini: insieme stanno in piedi, insieme cadono.
Per l’Italia, che ha lavorato negli ultimi anni per contenere i danni reputazionali sui mercati, l’obiettivo oggi non è distaccare la Francia, ma sperare che Parigi ritrovi rapidamente stabilità politica ed economica. Solo così Roma potrà evitare di essere travolta dal contagio e difendere uno dei mercati esteri più vitali per le sue imprese.