Vini e distillati, la frattura dei dazi tra Usa e Ue: il vino sotto pressione, gli spiriti sperano nell’esenzione

Il mondo delle bevande alcoliche europee rischia di vivere una stagione di separazione forzata. La nuova stretta sui dazi imposta dagli Stati Uniti, frutto di un’intesa solo parziale tra Donald Trump e Ursula von der Leyen, colpisce duramente il vino, mentre gli spiriti intravedono la possibilità di un’esenzione.

Dal 7 agosto, salvo sorprese, ogni bottiglia di vino europeo diretta oltreoceano sarà gravata da un dazio del 15%. Gli importatori americani hanno già ricevuto le comunicazioni ufficiali e stanno correndo ai ripari. «Ci hanno avvisato che il dazio partirà con una settimana di ritardo – spiega un operatore – ma per i vini non c’è scampo, almeno per ora». Diversa la posizione per i distillati, che restano in una zona grigia in attesa di conferma: il loro inquadramento normativo, legato agli accordi del 1994 sul reciproco riconoscimento di alcuni prodotti alcolici, potrebbe salvarli.

Dietro questa apparente disparità di trattamento ci sono ragioni puramente commerciali. Per la Casa Bianca, il vino europeo rappresenta una “minaccia” alla bilancia commerciale: l’Unione esporta verso gli Usa oltre 5 miliardi di euro l’anno tra rossi, bianchi e bollicine, mentre il flusso inverso vale appena 300 milioni di euro. Il divario è enorme e, nella logica di Trump, un’asimmetria di questo tipo equivale a un dazio indiretto che penalizza gli Stati Uniti.

I numeri degli spiriti raccontano invece una storia diversa. Il Discus, il Distilled Spirits Council of the United States, certifica che l’export di whisky americano verso l’Europa è cresciuto del 60% in tre anni. Raggiungendo oltre 700 milioni di dollari, metà dell’export totale di questa categoria. La sospensione dei dazi Ue sul whiskey, scattata nel 2022 dopo la disputa su acciaio e alluminio, ha dato nuova linfa al settore. Sommando tutte le categorie, l’export americano di superalcolici vale circa 2,2 miliardi di dollari. Contro i 2,9 miliardi dell’export europeo verso gli Usa: una bilancia quasi in equilibrio, che spiega perché gli spiriti abbiano più chance di scampare alla tariffa.

Sul vino, invece, l’impatto rischia di essere devastante. Secondo l’Unione italiana vini, la tariffa al 15% può generare perdite dirette fino a 300 milioni di euro per i produttori italiani, senza contare gli effetti collaterali negli Stati Uniti. L’associazione Wine America stima che l’indotto legato all’importazione dei vini europei – tra distributori, logistica e retail – valga 144 miliardi di dollari, con un possibile danno di 25 miliardi solo per l’economia Usa. Un paradosso che inizia già a produrre conseguenze: «Alcuni importatori americani stanno licenziando personale», conferma Paolo Castelletti, segretario generale dell’Uiv.

Il ministro Antonio Tajani ha promesso di continuare a fare pressione per ottenere l’inserimento del vino nella “lista zero per zero”. Ma i segnali da Washington restano tiepidi. La logica di Trump, centrata su un’America First commerciale, privilegia le categorie dove gli Usa sono esportatori netti. E considera “sospette” quelle dove il saldo pende verso l’Europa.

Intanto, sulle due sponde dell’Atlantico, il mondo del vino e quello dei distillati si scoprono più lontani che mai. Per i produttori europei, la stagione che si apre rischia di essere un braccio di ferro lungo e costoso. Dove il bicchiere è decisamente mezzo vuoto.