È la decisione più giovane mai presa in Italia su un tema tra i più delicati del dibattito pubblico. Per tredici anni è stato considerato una femmina, ma tra venti giorni, dopo il passaggio in giudicato della sentenza emessa il 10 dicembre scorso, sul suo documento di identità comparirà il nome maschile che usa ormai da tempo e che la famiglia, la scuola e l’ambiente sportivo già riconoscono. Il tribunale civile di La Spezia ha infatti disposto il cambio di sesso anagrafico del ragazzo, ordinando la rettifica dell’atto di nascita. Un provvedimento che fa di lui la persona più giovane in Italia ad aver ottenuto una decisione di questo tipo, in precedenza registrata solo su minori di quindici anni.
La sentenza ricostruisce un percorso lungo e complesso. Il tredicenne ha una sorella gemella che, come sottolineano i giudici, “da sempre si riferisce a lui come a suo fratello”, ma l’accettazione sociale non è stata semplice. I periti del tribunale descrivono un’identità consolidata nel tempo: il ragazzo “si identifica stabilmente come maschio, con espressione di genere coerente e continuativa sin dall’età prescolare, avendo mostrato preferenze ludiche, modalità relazionali e portamenti tipici con il genere maschile”.
Il percorso sanitario si è sviluppato in due fasi. Dopo un primo periodo di sostegno psicologico in Liguria, nel settembre 2021 il caso è stato preso in carico dal centro per l’incongruenza di genere dell’ospedale Careggi di Firenze. Per un anno e mezzo sono stati svolti colloqui clinici, esami e valutazioni specialistiche. Nel marzo 2023, sempre in accordo con i genitori, i medici hanno deciso di avviare la somministrazione della triptorelina, il farmaco che blocca lo sviluppo puberale in attesa di eventuali scelte future su possibili interventi chirurgici, generalmente previsti dopo la maggiore età. Secondo i periti, la terapia avrebbe “ridotto significativamente il disagio psicologico legato allo sviluppo puberale, permanendo limitati elementi di sofferenza per l’impossibilità di essere riconosciuta nei contesti ufficiali come maschio”.
Il tribunale arriva così alla valutazione conclusiva: il percorso seguito, unito al sostegno psicologico e alla gestione del disagio sociale, “consentono di ritenere che abbia maturato una piena consapevolezza circa l’incongruenza tra il suo corpo e il vissuto d’identità. Così da consentire di concludere, altrettanto consapevolmente, un progetto volto a ristabilire irreversibilmente uno stato di armonia tra soma e psiche nella percezione della propria appartenenza sessuale”.
La famiglia è assistita dall’avvocato Stefano Genick di Viareggio, che esprime soddisfazione per il pronunciamento: “La sentenza ci dice che le persone possono affrontare da minorenni questo percorso per il cambio anagrafico del sesso e che è un loro diritto inviolabile decidere di intraprendere questa strada”. Parole che riaprono anche sul piano giuridico il tema dei diritti dei minori e delle condizioni per il riconoscimento legale dell’identità di genere prima della maggiore età.
Durissima invece la reazione del fronte pro vita. Jacopo Coghe di Pro Vita & Famiglia attacca la decisione sostenendo che “a 13 anni la legge non considera un minore maturo per farsi un tatuaggio sul braccio, ma gli consente di subire una transizione di genere con terapie ormonali per cambiare sesso anagrafico e nome: una follia”. Il caso riaccende così una polemica che in Italia non si è mai sopita, soprattutto sul ruolo dei farmaci ormonali nei percorsi di affermazione di genere dei minori.
La triptorelina è utilizzata in una ventina di casi l’anno per incongruenza di genere e proprio l’ospedale Careggi, che segue il tredicenne ligure, è finito al centro delle polemiche nel 2023, quando venne criticato pubblicamente da Maurizio Gasparri di Forza Italia. Nei primi mesi del 2024 il ministero della Salute ha disposto un’ispezione nella struttura, una delle principali in Italia per questo tipo di trattamenti. L’attività non è stata interrotta, ma sono state indicate alcune prescrizioni operative. Nello stesso periodo il ministro della Salute Orazio Schillaci e la ministra della Famiglia Eugenia Roccella hanno istituito una commissione nazionale di studio, composta da 29 membri, per lavorare su linee guida condivise e aggiornate sul trattamento della disforia di genere in età evolutiva.
In questo contesto, la decisione del tribunale di La Spezia si inserisce in un quadro normativo e sanitario ancora in evoluzione, nel quale si intrecciano valutazioni giuridiche, scientifiche, etiche e sociali. Da una parte c’è il riconoscimento della sofferenza e della stabilità identitaria del minore certificata dai percorsi clinici. Dall’altra c’è una parte della politica e della società che chiede più prudenza, solleva dubbi sull’età e contesta l’uso di farmaci che intervengono sullo sviluppo puberale. La sentenza, destinata a fare giurisprudenza, non chiude il dibattito: lo rilancia, riportandolo al centro della discussione pubblica italiana.






