Garlasco, un mistero senza fine: quasi vent’anni dopo emergono nuovi interrogativi sugli indumenti ritrovati in un canale e mai analizzati

L’omicidio di Chiara Poggi continua a essere uno dei casi più complessi, controversi e inquietanti della cronaca italiana. A quasi vent’anni dal delitto, avvenuto il 13 agosto 2007 nella villetta di via Pascoli a Garlasco, la vicenda non smette di produrre interrogativi, sospetti, elementi che riemergono dal passato e accendono nuove discussioni. L’ultimo riguarda alcuni indumenti ritrovati in un canale non lontano dalla casa della vittima, materiali che per anni sono rimasti ai margini dell’inchiesta e che oggi tornano al centro del dibattito per una ragione precisa: su di essi non sarebbe mai stato effettuato un test definitivo capace di stabilire con certezza se contenessero tracce di sangue o elementi biologici utili alle indagini.

Quegli oggetti, secondo quanto riportato nelle ricostruzioni mediatiche, comprendevano vestiti, scarpe e capi definiti “griffati”, oltre ad alcune canottiere che sarebbero potute appartenere anche a una donna. Per lungo tempo non erano stati mai collegati in maniera chiara al delitto Poggi. Restavano un elemento sospeso, depositato, catalogato ma non valorizzato fino in fondo. Oggi, con la nuova attenzione attorno al caso e con le analisi più recenti, il loro significato potenziale assume tutt’altra rilevanza.

A riaccendere l’attenzione su questo dettaglio è stato anche quanto raccontato dal giornalista Giuseppe Brindisi nel corso della trasmissione televisiva “Mattino 5”. Secondo la ricostruzione riferita in diretta, quegli indumenti erano stati oggetto di accertamenti preliminari, ma non si arrivò mai a quello che viene definito “il terzo test definitivo”, ritenuto necessario per confermare o escludere in maniera inequivocabile la presenza di sangue. «Questi indumenti griffati, alcune canottiere probabilmente femminili e scarpe venivano considerati sospetti, ma il terzo test definitivo non è mai stato fatto», ha spiegato Brindisi.

Le domande, inevitabilmente, s’intrecciano con quanto sta accadendo nelle nuove indagini. Oggi, infatti, quelle stesse evidenze vengono osservate alla luce delle più recenti attività dei RIS di Cagliari, impegnati in sofisticate analisi di BPA (Blood Pattern Analysis) e di materiale biologico. Le nuove verifiche scientifiche hanno portato a collegare alcune tracce rinvenute sotto le unghie di Chiara Poggi alla figura di Andrea Sempio, amico del fratello della vittima e attualmente indagato per concorso in omicidio. È in questo contesto investigativo che la questione degli indumenti mai analizzati fino in fondo acquista un peso ancora maggiore.

Non si tratta infatti solo di un tassello tecnico rimasto incompiuto, ma di un possibile snodo mancato. La mancata esecuzione di quel test solleva interrogativi pesanti: perché non si è arrivati fino in fondo? Quella verifica avrebbe potuto fornire elementi utili, rafforzare ipotesi, indebolirne altre, forse persino aprire un percorso investigativo diverso. Sono interrogativi che oggi, con il senno di poi e con un quadro giudiziario ancora aperto a nuove valutazioni, si fanno più difficili da ignorare.

A rendere tutto ancora più delicato è un ulteriore elemento: quegli indumenti non esistono più. «E oggi, per di più, questi oggetti sono stati distrutti. Perché?», è la domanda che resta sospesa e che accompagna la nuova fase del dibattito pubblico. La distruzione del materiale impedisce qualsiasi possibilità di riesame alla luce delle tecnologie attuali e priva gli inquirenti di una potenziale fonte di informazioni. Una decisione che appare oggi ancor più significativa, proprio nel momento in cui la giustizia sta tornando a interrogarsi su cosa davvero accadde quel giorno a Garlasco.

Il caso Poggi, negli anni, è passato attraverso indagini, processi, condanne, revisioni di lettura e un’attenzione mediatica costante. Eppure, nonostante sentenze e verità giudiziarie, continua a essere percepito come una vicenda irrisolta. Ogni nuovo dettaglio riapre ferite, rilancia sospetti, pone sul tavolo nuovi interrogativi e, allo stesso tempo, fa emergere zone d’ombra che forse non sono mai state illuminate del tutto.

Il nodo degli indumenti ritrovati nel canale si inserisce perfettamente in questo scenario. È una storia nella storia, un episodio che unisce errori presunti, decisioni non spiegate fino in fondo, possibilità investigative mai pienamente sfruttate. E oggi, mentre la procura e gli investigatori analizzano i risultati scientifici più recenti e valutano gli sviluppi collegati alla posizione di Andrea Sempio, quella domanda resta sospesa, come una crepa ancora aperta nella ricostruzione complessiva del delitto.

A quasi vent’anni di distanza, l’omicidio di Chiara Poggi continua così a essere un enigma che non smette di interrogare magistrati, tecnici, giornalisti e opinione pubblica. Ogni nuova informazione sembra allungare la scia dei dubbi più che chiuderla. E il destino di quei vestiti mai analizzati definitivamente, oggi distrutti, resta uno dei simboli più evidenti delle incognite che ancora avvolgono il mistero di Garlasco.