Sergei Lavrov torna a usare il megafono della diplomazia russa per parlare all’Europa, all’Occidente e ai Paesi che guardano con preoccupazione alla guerra in Ucraina. In una lunga intervista concessa all’agenzia di Stato Tass, rilanciata da Ansa e Adnkronos, il ministro degli Esteri del Cremlino propone la solita immagine di una Russia assediata e costretta a difendersi. E allo stesso tempo alza il livello dello scontro verbale, puntando il dito contro quello che definisce il “partito della guerra” europeo e minacciando conseguenze “schiaccianti” nel caso in cui sul terreno entrassero soldati occidentali.
Uno dei passaggi chiave riguarda proprio l’ipotesi, più volte evocata a livello di dibattito, di una presenza diretta di truppe europee in Ucraina sotto forma di “Coalizione dei volenterosi”. Lavrov sostiene che «le ambizioni dei politici europei li accecano letteralmente» e accusa le capitali del continente di non preoccuparsi né degli ucraini né delle proprie opinioni pubbliche. Se mai questa coalizione dovesse diventare realtà, avverte, i contingenti militari «diventerebbero un obiettivo legittimo per le nostre forze armate». Non un dettaglio, ma un messaggio diretto alle cancellerie che discutono di nuove forme di sostegno a Kiev.
Il lessico è quello di sempre: da una parte la Russia che si presenta come potenza responsabile, dall’altra l’Occidente accusato di voler infliggere a Mosca una “sconfitta strategica”. A guidare questo fronte, secondo Lavrov, sarebbe un “partito della guerra” che avrebbe investito il proprio capitale politico nell’obiettivo di piegare la Russia ed è «pronto ad andare fino in fondo con le sue idee anti-russe». Nel mirino finiscono nomi come Ursula von der Leyen, Merz, Starmer, Macron e altri leader europei, indicati come simboli di una linea irrimediabilmente schierata.
Il ministro russo prova poi a rassicurare – o a mettere sull’avviso – le opinioni pubbliche occidentali. «Non c’è motivo di temere che la Russia attacchi qualcuno», sostiene, ribaltando l’accusa che da quattro anni accompagna l’invasione dell’Ucraina, iniziata nel febbraio 2022 e segnata da bombardamenti su città e infrastrutture civili. Ma subito dopo scandisce il passaggio che interessa di più i vertici militari europei: se qualcuno decidesse di colpire direttamente la Russia, «la risposta sarebbe schiacciante». Un modo per ribadire la dottrina già enunciata più volte da Vladimir Putin, con il richiamo implicito alla capacità di deterrenza militare del Paese.
La narrazione costruita da Lavrov tiene insieme più fronti, con l’obiettivo di presentare Mosca come attore coerente in ogni crisi internazionale. Sulla guerra in Medio Oriente il ministro rivendica il sostegno storico alla causa palestinese e alla cosiddetta soluzione “a due Stati”. Dice di ribadire l’impegno russo «a favore di una soluzione giusta del conflitto israelo-palestinese» e insiste sulla necessità di «porre rimedio a un’ingiustizia storica» garantendo la nascita di uno Stato palestinese “sostenibile” accanto a Israele. Una formula che richiama le risoluzioni internazionali e consente al Cremlino di proporsi come difensore del diritto internazionale, pur essendo accusato di averlo violato in Ucraina.
Sul dossier asiatico, Lavrov elimina qualsiasi ambiguità e si allinea alla posizione di Pechino: la Russia «riconosce Taiwan come parte integrante della Cina» e «si oppone all’indipendenza dell’isola in qualsiasi forma». Un passaggio che rafforza ulteriormente l’asse politico e militare con la Repubblica Popolare, in un momento in cui gli Stati Uniti e i loro alleati indicano proprio Taiwan come uno dei possibili futuri focolai di crisi globale. Per Mosca, ribadire che Taipei non ha diritto a un riconoscimento autonomo significa anche mandare al mondo il messaggio che le rivendicazioni di sovranità, quando non coincidono con quelle dei grandi, non sono destinate a trovare spazio.
Sul fronte ucraino, l’affondo è rivolto soprattutto a Bruxelles. Lavrov accusa l’Unione europea di aver chiuso gli occhi di fronte agli scandali di corruzione che hanno attraversato Kiev e di continuare a utilizzare il Paese come “ariete” contro la Russia. Secondo il ministro, il sostegno economico e militare concesso all’Ucraina non avrebbe lo scopo di garantire la sicurezza europea, ma solo quello di logorare Mosca. Una lettura che ignora il dato essenziale per la narrativa occidentale – l’invasione di uno Stato sovrano – ma che parla a un pubblico internazionale stanco della guerra e sensibile all’idea che le élite europee usino Kiev per calcoli di potere.
Dietro l’attacco al “partito della guerra”, però, c’è anche un messaggio indiretto all’interno. Presentando l’Europa come blocco aggressivo e irrazionale, la leadership russa cerca di rafforzare il fronte domestico, alimentando l’idea che le sanzioni, i costi economici e il protrarsi del conflitto siano conseguenze inevitabili della scelta di resistere. In questo racconto non c’è spazio per l’autocritica né per un ripensamento della campagna militare iniziata nel 2022: la responsabilità viene proiettata sempre all’esterno, sulle capitali europee e sugli Stati Uniti.
Il passaggio su Gaza e sulla Palestina permette a Lavrov di parlare non solo al Medio Oriente, ma anche a importanti segmenti dell’opinione pubblica globale che vedono nella questione palestinese una ferita aperta. Mentre molti Paesi occidentali faticano a trovare un equilibrio tra sostegno a Israele e difesa dei civili palestinesi, Mosca insiste sulla “giustizia storica” da riparare, cercando di erodere lo spazio diplomatico degli avversari. Allo stesso tempo, evita accuratamente di applicare lo stesso metro di giudizio all’Ucraina, dove la Russia viene accusata di crimini di guerra e bombardamenti indiscriminati sulle città.
L’intervista a Tass, insomma, è un compendio della linea ufficiale russa: nessuna intenzione offensiva dichiarata, accuse all’Europa di voler trascinare il continente nella guerra, sostegno alla causa palestinese e all’unità della Cina, disponibilità a reagire con forza se i “volenterosi” decideranno di mandare soldati sul campo ucraino. Una strategia comunicativa che punta a dividere l’Occidente, a parlare ai Paesi non allineati e a consolidare l’idea di una Russia accerchiata ma determinata a non arretrare.







