Le prime barche della Global Sumud Flotilla sono entrate stamattina nel porto israeliano. Spinte dalle unità della Marina, hanno varcato i moli di Ashdod sotto un cielo immobile e un mare di vetro. Il vento, appena accennato, avrebbe potuto accompagnarle mezz’ora più a sud, sulle coste di Gaza. Ma il destino delle imbarcazioni è stato deciso già nella notte, quando i commando della Shayetet 13 hanno preso il controllo delle rotte e scortato i pacifisti verso nord.
A terra, lo scenario non era quello di un Paese in fermento. Al contrario: Israele si è fermato per Yom Kippur. Strade vuote, negozi serrati, televisioni spente. Tutto bloccato, salvo le forze impegnate nell’operazione. Al porto, invece, un apparato imponente di polizia, blindati e controlli agli ingressi della città. Non il caos della guerra, ma la calma gelida di un’operazione conclusa.
Gli attivisti sono stati fatti scendere con le mani alzate e il numero dell’avvocato vergato in nero sugli avambracci. È l’immagine che resta di questa notte: uomini e donne che sanno di rischiare l’arresto e, per non sparire, si scrivono addosso un contatto certo. A bordo non c’è stata resistenza: giubbotti indossati, documenti pronti. A differenza del 2010, nessuno scontro, nessun morto. I bus li hanno portati nei centri di detenzione del sud, dove ora si apre un bivio: firmare la dichiarazione di colpevolezza ed essere espulsi subito, oppure affrontare un giudice, con pochi giorni di detenzione e il rimpatrio forzato. In entrambi i casi, la prospettiva è lasciare il Paese.
Dal punto di vista israeliano, un successo pieno: missione chiusa senza sangue, navi fermate lontano dalla Striscia, immagini da mostrare come prova di controllo e disciplina. Lo stesso ministero degli Esteri ha ribadito che “gli attivisti stanno bene, saranno trasferiti in sicurezza”, promettendo che gli aiuti finiranno comunque a Gaza attraverso canali ufficiali.
Ma dall’altra parte resta il racconto della notte, con idranti contro la Yulara e la Meteque, speronamenti come quello che ha colpito la Florida, granate stordenti lanciate dai droni. Un dispositivo militare enorme contro barche civili. E soprattutto resta una storia che già corre tra i social e i telefonini: quella della Mikeno.
Secondo la tv turca Canal 24 e i tracciatori della Flotilla, la Mikeno sarebbe riuscita a varcare le acque di Gaza. Forse per pochi minuti, forse solo per una manciata di miglia. Ma è bastato. Nei video diffusi si vede l’equipaggio esultare, urlare e cantare. È la prima volta che un vascello civile riesce a spingersi così vicino dall’inizio della guerra. Un gesto che gli organizzatori definiscono “un risultato simbolico”, ma che per chi era a bordo è stato molto di più: la sensazione di aver incrinato un muro considerato invalicabile.
“Se fossero arrivati davvero, li avremmo accolti con una festa”, raccontano da Gaza. Non c’è stato sbarco, il porto è distrutto e ogni struttura provvisoria è stata cancellata dalle bombe. Ma quell’istante in cui la Mikeno ha solcato il limite proibito basta a farne un mito. Non la Mavi Marmara del 2010, con il sangue e le vittime, ma una nave che ha aperto un varco simbolico, dimostrando che arrivare a Gaza, anche solo per un soffio, è possibile.
Mentre Ashdod si riempiva di polizia e autobus, sui social la Mikeno diventava una bandiera. “Avanti tutta”, scrivevano gli attivisti. “Abbiamo toccato Gaza”. Nel linguaggio della mobilitazione globale, è la miccia che alimenta la protesta: da Napoli, dove i binari della stazione centrale sono stati occupati, a Roma, con migliaia di persone in piazza dei Cinquecento, fino a Milano e Torino. Lo sciopero generale del 3 ottobre proclamato dall’Usb promette di trasformare quella crepa nel mare in un terremoto politico.
Gli attivisti arrestati, dal canto loro, non rischiano nulla in Italia. Nei giorni scorsi era circolata l’ipotesi che potessero violare l’articolo 244 del codice penale, quello sugli “atti ostili verso uno Stato estero”. Ma la giurisprudenza è chiara: per configurarsi servono atti armati, concreti, capaci di esporre l’Italia a una guerra o a rappresaglie. Una missione civile e non violenta non rientra in quella fattispecie. Nessun tribunale italiano potrebbe mai incriminarli.
E così la notte del Mediterraneo si chiude con due verità parallele. Da una parte Israele che mostra le navi catturate e gli attivisti in custodia, fiero di aver evitato un bagno di sangue. Dall’altra la Flotilla che, anche se spezzata, trova la sua vittoria simbolica nella Mikeno: un nome che rimbalza già come leggenda. Una piccola barca civile che, contro idranti e granate, ha osato varcare il confine proibito.
Ad Ashdod, stamattina, il mare è calmo. Gaza resta lontana, a mezz’ora di strada. Ma il racconto della Mikeno corre veloce, più delle motovedette, più dei droni. Ed è questo che resterà nella memoria.